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No Tav. Due presidi e tre processi

2013 12 14 bussoleno fiaccSabato 14 dicembre. Siamo sul limite di un nulla metropolitano, nel piazzale del capolinea del tram 3, a pochi passi dalle recinzioni che delimitano il perimetro del carcere delle Vallette.
Dal 9 dicembre nei bracci che soffocano le vite di un’umanità pressata dentro quattro mura sempre più strette ci sono quattro No Tav, accusati di terrorismo. Secondo i PM Rinaudo e Padalino, nella notte tra il 13 e il 14 maggio, avrebbero partecipato all’azione di lotta al cantiere/fortino della Maddalena. In quell’occasione i No Tav riuscirono a cogliere di sorpresa la polizia, ad entrare nel cantiere, mandano in fiamme un compressore.
Ad attendere i No Tav c’é un imponente apparato poliziesco, che ha chiuso ogni casso ai due pratoni limitrofi al carcere ed impedisce al camion dei manifestanti di avvicinarsi alla recinzione con il camion con l’amplificazione.
I No Tav tagliano per il prato e si avvicinano alle reti dove partono saluti, slogan, canti, petardi e fuochi d’artificio: dopo circa mezz’ora partono per un giro intorno al carcere, placcati da vicino dalla polizia, che evidentemente avrebbe voglia di menare le mani.
Dopo due ore gli attivisti tornano al piazzale, i poliziotti restano a bocca asciutta.

Domenica 15 dicembre. Circa 400 No Tav si ritrovano in piazza dei Mulini a Bussoleno per un presidio che si trasforma presto in fiaccolata per le strade del paese. In testa lo striscione con la scritta “Terrorismo=Tav. Claudio, Mattia, Chiara, Nicco liberi!”.
Ancora una volta il popolo No Tav si stringe intorno quattro attivisti colpiti dalla repressione, segno chiaro che la resistenza all’imposizione violenta di un’opera inutile e dannosa è patrimonio comune di chi si oppone alla Torino Lyon.
Qui un set di foto del corteo.

Lunedì 16 dicembre. In maxi aula 3 del tribunale di Torino si celebra la quinta udienza del processo contro 28 No Tav accusati di “violenza privata” per aver cercato di contrastare attivamente il sondaggio Tav di via Amati a Venaria.
In via Amati la trivella arrivò nel tardo pomeriggio del 26 gennaio, accompagnata da un imponente nugolo di poliziotti, carabinieri e finanzieri in assetto antisommossa.
In breve arrivano i primi No Tav che presto saranno centinaia: bidoni, legna, qualcosa da mangiare.
Un camion con le luci rimase bloccato dal gran numero di persone che si riversarono in strada: gli attivisti di sempre e la gente della zona. Furono tre giorni di presidio permanente, con assemblee, incontri, cene collettive.
Due anni dopo, nelle aule di tribunale, non restano che i soliti ben noti, accusati di aver partecipato, a fianco di tanti altri a tre giorni di resistenza popolare.
I due digos chiamati a testimoniare ricordano bene a memoria i nomi degli imputati: quello che si occupa di anarchici cita gli anarchici, quello che cura gli antagonisti elenca quelli che “ricorda”. Nessuno dei due rammenta niente altro: non ricordano se c’era l’antisommossa, non ricordano i vigili urbani, non sanno niente che non sia la loro scaletta.
Si torna in scena il 2 aprile: maxi aula 3 ore 9,30.

Nel pomeriggio viene emessa la sentenza nei confronti di 24 No Tav per le azioni di lotta del 17 febbraio 2010. A Coldimosso di Susa era stata piazzata una trivella per i sondaggi. Nel tardo pomeriggio la polizia carica e pesta con grande violenza i No Tav tra le vigne e i prati. Due No Tav vengono feriti gravemente: Marinella viene manganellata selvaggiamente sul volto, presa a calci e pugmi, Simone viene abbattuto con un violentissimo colpo al capo e subisce un’emorragia cerebrale. Ricoverato alle Molinette resta in prognosi riservata per tutta la notte. Nonostante ciò la Digos provoca i suoi amici accorsi in ospedale, sino a formulare l’accusa di rapina per un’agendina persa da un agente. Più tardi, sempre a Torino, alcuni No Tav bloccano l’uscita dei camion con il quotidiano La Stampa, ormai organo ufficiale della lobby Si Tav.
In valle la risposta è immediata e corale: blocco dell’autostrada e delle due statali, polizia accolta a sassate e costretta alla retromarcia verso l’alta valle e il Sestriere.
Due anni dopo i PM chiedono pene elevatissime per i resistenti di Coldimosso e per i solidali torinesi. Il giudice condanna tutti ma rigetta l’accusa di rapina. Il tutto si chiude con condanne tra i 4 e i nove mesi.

Martedì 17 dicembre. Presidio solidale davanti al tribunale, dove, a porte chiuse, si celebra l’udienza preliminare per tre No Tav accusati di “tentata rapina” e sequestro di persona. L’udienza è a porte chiuse: intorno alle 11,40 il GUP emette la sentenza di rinvio a giudizio per tutti e tre gli attivisti, tutti sottoposti a misure di privazione della libertà. Andrea ha da otto mesi l’obbligo di firma quotidiano, Giobbe è da agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni, Claudio è uno dei quattro arrestati per terrorismo il 9 dicembre.
I fatti?
Era il 16 novembre del 2012. I No Tav che, come ogni mattina fanno colazione davanti al check point della centrale, pescano un tizio in borghese che scatta foto al presidio, chiedendogli spiegazioni. Lui nicchia, fa spallucce, poi dichiara di essere incaricato dalla Procura: si guadagna qualche insulto ma non viene toccato. Andrea, gli scatta a sua volta qualche foto. Dopo che se ne è andato sulla sua auto e con la sua macchina foto, arrivano i carabinieri che fermano Andrea e un altro compagno, Claudio. Li portano nel fortino e li obbligano per sette ore a stare in piedi su un gradino senza potersi sedere: verranno rilasciati solo in tarda serata. Sei mesi dopo la polizia gli farà una perquisizione domiciliare. Giobbe verrà arrestato il 13 agosto.
Un banale episodio di resistenza viene trasformato in un’accusa grave. Il processo comincerà in aprile.

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