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Europa. Madre e matrigna

pensatore-500x254La paura genera mostri. La crisi, l’estendersi della disoccupazione, la precarietà come orizzonte normale, la perdita di tutele da parte di ceti impoveriti e rancorosi, favoriscono la chiusura identitaria. Tornano le patrie, le bandiere, la voglia di serrare le porte.
Quando l’internazionalismo degli sfruttati e degli oppressi non è più lessico comune, aspirazione capace di liberare, utopia concreta, tornano i fantasmi della nazione, dell’identità che si alimenta dell’esclusione, delle frontiere e delle barriere.
Il sogno del paradiso perduto coincide con quello dello Stato che tutela, dei padroni buoni che producono contro i banchieri cattivi che speculano, dei politici onesti contro la casta dei corrotti.
La destra, quella istituzionale non meno di quella più estrema trae linfa vitale da questa diffusa seduzione nazionalista. Dalla Grecia all’Italia, alla Francia tira un’aria grama.
Gli istituti di statistica prevedono una significativa affermazione delle forze nazionaliste ed anti UE alle prossime elezioni europee.
La molla di questa possibile svolta a destra è il bisogno di chiudersi tra le mura domestiche per proteggersi da un’Europa, dove la Germania gioca con Italia, Grecia, Portogallo, Spagna il ruolo che il Piemonte ebbe con le regioni del sud dopo la conquista e l’annessione del regno delle due Sicilie.
I fascisti alimentano la paura e se ne alimentano, contando di riuscire a raccogliere voti, giocando sull’illusione di poter fermare il treno in corsa, di poter erigere una barriera protezionista intorno ai sacri confini.
L’ondata “forcona” di dicembre, sebbene abbia avuto adesioni ampie solo in alcuni luoghi, ha mostrato che la spinta anti casta, anti sistema, contro le tasse, le lentezze della burocrazia, il sistema immobile dei partiti, la corruzione dilagante che un anno fa si era espressa elettoralmente nel successo del Movimento Cinque Stelle, poteva assumere un carattere potenzialmente eversivo. Per la prima volta un movimento fatto di nulla, nato da un’aggregazione di destra ma decisamente improbabile, lanciava una lotta ad oltranza per mandare tutti a casa.
Tutto è finito in farsa, ma le spinte che muovevano quelle piazze non si sono certo chetate. Probabilmente stanno cercando altre strade, altre possibilità.
Piazza Indipendenza a Kiev, ribattezzata Euromaidan, con i suoi preti, fascisti, cecchini, bandiere e passioni pareva la versione tragica delle piazze tricolori dei forconi italiani.
Il paradosso che il nazionalismo ucraino si incanalasse verso l’abbraccio con l’Unione Europea, mentre le piazze nostrane erano attraversate da tensioni esplicitamente antieuropeiste è solo apparente, perché la spinta è la medesima: paura di restare ai margini, sogno di un benessere che fugge, bisogno di protezione.
L’Ucraina è, oltre alla Moldova, l’unico stato della galassia post sovietica dove le condizioni di vita della popolazione siano peggiorate, dopo la caduta del muro di Berlino. Le mura della fortezza Europa paiono agli ucraini dell’Euromaidan una protezione, una viatico verso un futuro migliore.
Al contrario, per chi, nell’UE, patisce le conseguenze delle politiche economiche dettate dalla governance transnazionale, l’Europa a guida tedesca diventa il nemico da abbattere.
Sui social network, nei bar di periferia, tra la gente al mercato girano le moderne teorie del complotto, una riedizione nel secondo millennio delle paccottiglia degli anni Trenta del secolo scorso. Roba che puzza di terra e sangue, di terra intrisa del sangue degli estranei, degli stranieri, dei nemici da eliminare per preservare la propria purezza.
Le chiacchiere sul “signoraggio”, il club Bildeberg e il grande complotto delle banche per governare il mondo, girano sottobanco come le rivistine porno negli anni Cinquanta, e infettano il corpo sociale, dando corpo alle proprie paure, individuando i nemici da abbattere.

Nella grande partita per le elezioni europee, Beppe Grillo, consapevole del rischio che una parte del proprio elettorato navighi verso destra fa un gran coup de theatre, sperando di intercettare i voti in libera uscita dal Carroccio.
Le recenti dichiarazioni di Grillo sul possibile successo di spinte secessioniste centrifughe in tutta la penisola la dicono lunga sull’astuzia politica di chi capisce l’aria che tira. Come tutti gli animali da palcoscenico Grillo sa cogliere gli umori della propria platea, e li fa propri.
Grillo sostiene che viviamo un «incubo dove la democrazia è scomparsa, un signore di novant’anni decide le sorti della Nazione e un imbarazzante venditore di pentole si atteggia a presidente del Consiglio, massacrata di tasse, di burocrazia che ti spinge a fuggire all’estero o a suicidarti, senza sovranità monetaria, territoriale, fiscale, con le imprese che muoiono come mosche». Subito dopo Grillo evoca l’immagine di un’Italia dove risorgono la Serenissima, il Granducato di Toscana, il Regno delle due Sicilie, ma gli argomenti sono i medesimi che animano le piazze “forcone” e la propaganda di destra. Solo gli esiti sono diversi, perché, dopo un anno in parlamento, al Movimento cinque stelle non resta che dichiarare irriformabile la democrazia italiana, puntando sulle macroregioni come fucina di una democrazia rinnovata. Un trucco elettorale? Un gioco delle tre carte? Probabile. Resta il fatto, che, nonostante tutti sappiano che quelli che girano le carte vincano sempre, tuttavia i loro banchini sono sempre affollati.
I venditori di sogni di carta non perdono mai.

Chi invece perde sempre è la sinistra civilizzata, quella che crede che l’Europa possa essere cambiata e diventare un terzo polo. Imperialista ma buona, democratica. Sono gli stessi che non vogliono gli F35 fabbricati dalla Loockeed Martin, perché preferiscono il bombardiere europeo, l’Eurofighter.
È sempre la stessa compagnia di giro della COSA e della lista Ingroia: con qualche sali e scendi dalla carrozza, che tra un pantano e l’altro, arranca sul margine sempre più stretto tra partito e movimento. L’illusione della rappresentanza si sta lentamente dissolvendo, mentre qua e là persiste quella della tutela istituzionale. Nel calderone intellettuali, politici di professione rimasti senza stipendio, vecchi disobba in cerca di autore. Al momento di fare le liste si sono aperte le prime crepe, perché, al di là dei proclami, è sempre lo stesso triste gioco delle poltrone.
La lista Tsipras, l’ennesima incarnazione della galassia della sinistra orfana di rappresentanza istituzionale, è l’ultimo esperimento di un ceto politico alla canna del gas, che spera di candidarsi alla rappresentanza di movimenti che se la cavano benissimo senza padri e padrini. E ne sono sempre più consapevoli.
La scommessa è che questa consapevolezza si traduca in percorsi di autonomia dall’istituito, che sappiano prefigurare prospettive di autogoverno e autogestione territoriale, dove i legami si danno nella solidarietà e nella pratica di lotta fuori e contro vecchie e nuove frontiere. Vecchi e nuovi muri.

Posted in Inform/Azioni, politica.

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