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Condannati i No Tav per la trivella di Venaria

no tav liberi tuttiTre mesi: questa la condanna inflitta a 25 No Tav per la trivella di Venaria, due le assoluzioni. La PM Emanuela Pedrotta aveva chiesto un anno di reclusione.
La PM, in linea con la Procura torinese, aveva sostenuto di voler perseguire un reato “comune” e non le opinioni dei No Tav. Nella sua requisitoria si era smentita facendo diffusamente delle identità politiche degli attivisti alla sbarra. Esplicito era stato riferimento agli anarchici.
Nulla di nuovo per il tribunale di Torino, che processa e condanna chi si batte contro il supertreno, scegliendo tra migliaia di attivisti i rivoluzionari piu noti.

Facciamo un passo indietro.

Nel gennaio del 2010 LTF, il general contractor per la realizzazione della Torino Lyon, annunciò una novantina di sondaggi tra Torino, Grugliasco, Collegno, Venaria e diversi paesi della Val Susa.
Buona parte di questi rilievi erano previsti in zone già sondate più volte ed erano quindi inutili. Si rasentò il ridicolo con ben sei sondaggi nell’immondizia della discarica di Basse di Stura.
Era chiaro a tutti che si trattava di sondaggi politici: per la prima volta dopo cinque anni dalla rivolta popolare che, nel dicembre 2005 aveva fermato l’opera, il governo intendeva riprovarci.
I 90 carotaggi – ma ne vennero fatti meno della metà – servivano a saggiare la forza del movimento No Tav.
Ogni trivella era accompagnata da centinaia di uomini armati.
I sondaggi furono un pretesto per fare un’esercitazione militare.
In zone abitate ne erano previsti pochi. Uno di questi era quello annunciato nei pressi di alcuni condomini di via Amati a Venaria.

A Venaria, grazie ad un’ampia solidarietà popolare, i No Tav riuscirono a rallentare i lavori finché in fretta e furia il cantiere venne smontato.
In via Amati la trivella arrivò nel tardo pomeriggio del 26 gennaio. Siamo in una zona di grandi palazzi stesi lungo la tangenziale, fiancheggiati da tralicci dell’alta tensione. Qui l’opposizione al Tav si legge, oggi come allora, nelle bandiere appese ai balconi.
Nel prato di fronte alla trivella ci siamo trovati in tanti: No Tav che si erano fatti tutti i presidi e gente di Venaria preoccupata per il proprio futuro, in questa periferia stesa tra la città e il niente delle auto in corsa oltre la barriera antirumore.

La trivella era accompagnata da un imponente nugolo di poliziotti, carabinieri e finanzieri in assetto antisommossa, che invasero la strada rendendo difficoltosa la circolazione.
Già nel tardo pomeriggio una cinquantina di No Tav armati di bandiere e striscioni fronteggiava nel prato la polizia. Partì il consueto tam tam e presto eravamo molti di più. Bidoni, legna, qualcosa da mangiare.
Un camion con le luci rimase bloccato dal gran numero di persone che si riversarono in strada. Furono tre giorni di presidio permanente, con assemblee, incontri, cene collettive.
Tanta gente che abita nella zona di via Amati scese in strada, partecipò alle discussioni, alla lotta.
Quelli che non potevano fermarsi portavano caffè caldo e una brioche, segni tangibili di una solidarietà vera.
La sera del 26 gennaio, nonostante un’abbondante nevicata all’assemblea spontanea tra il prato e la strada parteciparono centinaia di persone. Emerse netta la volontà di contrastare il sondaggio, di mettere i bastoni tra le ruote a chi pretendeva di imporre con la forza un’opera inutile e dannosa.

I processi e le condanne sono uno degli strumenti con i quali il governo e la Procura di Torino ha provato, senza riuscirci, di fermare l’opposizone popolare al Tav.

Nella loro dichiarazione spontanea in tribunale, due No Tav – e anarchici – Maria ed Emilio hanno dichiarato: “L’accusa che ci viene rivolta è fatta di nulla. Questo è uno dei tanti processi al movimento No Tav, ad una lotta popolare forte anche nelle periferie urbane, dove sempre più le persone non sono disponibili a barattare la propria salute, il futuro dei propri figli alla logica del profitto, di chi, per farsi ricco, ci fa correre sempre più in fretta verso l’autodistruzione.
Di fronte alla criminalità di chi devasta, saccheggia, militarizza il territorio ribellarsi è un’urgenza morale. Una spinta che anima un intero movimento. Un movimento fatto di gente che sa prendersi cura di quello che conta davvero, un bene che non ha prezzo, la libertà di decidere in che mondo vivere.”

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