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10 luglio – Vilipendio alle forze armate e alla bandiera. Processo a Torino

Il 10 luglio comincia il processo ad 11 anarchici, accusati di vilipendio alle forze armate. Uno è anche accusato di vilipendio alla bandiera.
Nel codice penale della Repubblica italiana sono annidate numerose norme che puniscono chi dice la propria su istituzioni e simboli investiti dall’aura della sacralità. Così chi irride l’esercito o brucia una bandiera finisce in tribunale.
Nulla di cui stupirsi. Ammazzare, torturare, violentare, occupare città e paesi sono attività che in genere non vengono apprezzate. Trasformare una ginnastica di morte in attività onorevole, ben pagata è un’operazione che richiede riti e sacerdoti. Giudici e tribunali per chi non ci sta.
Alla faccia degli altisonanti principi che sancirebbero la libertà di dire la propria.

Facciamo un passo indietro. Era il 4 novembre del 2009, il giorno che lo Stato italiano dedica alle forze armate, nell’anniversario di quell’immane carneficina che fu la prima guerra mondiale.
Un plotone di soldati caricati a molla, dopo aver attraversato via Po, esibendo immagini e fotografie delle guerre dello Stato italiano compare a sorpresa in piazza Castello, dove, blindatissima, si è appena conclusa la cerimonia dell’ammaina bandiera.
I soldati attraversano la piazza sino al monumento ai Cavalieri d’Italia dove viene esposto un tricolore. La bandiera italiana, simbolo di un paese in guerra, simbolo di quell’infamia che si chiama amor patrio, viene data alle fiamme tra gli applausi di una piccola folla accorsa intorno al monumento.
I soldati a molla vengono ricaricati e riprendono la loro marcia di automi.

Nonostante erano le centinaia di uomini schierati a difesa della cerimonia degli assassini in divisa, qualche anarchico, senzapatria e disertore di tutte le guerre, è riuscito a ricordare i massacri che ieri come oggi vengono fatti sventolando la bandiera bianca rossa e verde.

A tre anni di distanza lo Stato presenta il conto.

La prima udienza è fissata domani alle 9 in aula 52 ingresso 20 del tribunale di Torino.