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Lazzaro-ne in Clarea

TAV: NUOVO ATTENTATO IN VALSUSA, DANNEGGIATI 7 MEZZI DITTALa scorsa settimana è stato arrestato ed è ai domiciliari Ferdinando Lazzaro. L’accusa? Turbativa d’asta. Era falsa la fidejussione con la quale l’ex titolare della fallita Italcoge, si comprò un ramo d’azienda, costituendo l’Italcostruzioni, che ereditò l’appalto per lavori al cantiere di Chiomonte. E’ lui l’anima nera del Consorzio Valsusa, costituito per mettere mano e bocca nell’affare TAV.
Lazzaro subì anche qualche sabotaggio ai mezzi della sua ditta. Era l’estate del 2013. Fu allora che Lazzaro divenne un’icona mediatica. Era sempre in TV a piangere e bussare per avere risarcimenti superiori a quelli che gli avrebbe dato l’assicurazione.

Per i No Tav l’imprenditore segusino era già salito agli onori delle cronache il 27 giugno del 2011. Era sua la ruspa scortata da migliaia di agenti che abbattè la barricata lungo l’autostrada, dando il via allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena.
Sulla “pinza” che ondeggiò a lungo pericolosamente sulle teste dei No Tav arrampicati sulla barricata, c’era lo stemma dell’Italcoge. Un mese dopo, era il 28 luglio del 2011, l’Italcoge fallì. Ora sappiamo che la Fenice che sorse dalle sue ceneri era figlia di una truffa. Grazie alla falsa fidejussione – e all’assenza di controlli veri sull’asta – Ferdinando Lazzaro costituì Italcostruzioni. La nuova società ereditò i mezzi, le autorizzazioni al trasporto conto terzi e ad operare in ambito ambientale, le certificazioni antimafia per partecipare ad appalti e lavori pubblici.

Il nome di Lazzaro era già comparso nelle inchieste sull’ndrangheta in Piemonte, anche se in quel caso se la cavò per il rotto della cuffia.

Anarres ne ha parlato con Alberto Perino, da anni nel mirino della Procura torinese il il suo puntuale lavoro di informazione.
Una buona occasione per fare il punto su questa vicenda e per discutere delle possibilità di autogestione territoriale, che la storia del movimento No Tav dimostra possibile, al di là del perdurare dell’illusione elettorale.

Ascolta la diretta con Alberto

Vale la pena cercare di capire il ruolo di Lazzaro nel sistema Tav e i suoi rapporti con Ltf. Una buona guida sono le carte dell’inghiesta sulla ‘ndrangheta “San Michele”. Citiamo in merito qualche stralcio dell’articolo pubblicato qualche mese fa dal settimanale l”Espresso”:

“Giovanni Toro, una delle figure centrali dell’indagine, entra nell’affare alta velocità grazie a Ferdinando Lazzaro, che aveva ottenuto in appalto dal committente Ltf-Lione Torino i lavori di preparazione del cantiere, dove si doveva svolgere lo scavo del  tunnel esplorativo di Chiomonte.” (…) “Inizialmente la ditta di Lazzaro si chiama Italcoge. Con questa ottiene la commessa. Poi però Italcoge fallisce. Ma «Lazzaro continuava di fatto a occuparsi del cantiere avvalendosi proprio di Toro», scrive il giudice delle indagini preliminare che ha firmato l’ordinanza.

(…) “Lazzaro negli atti è indicato come uno degli interlocutori principali di Rfi, Rete ferroviaria italiana, e Ltf. «Alcune conversazioni intercettate dimostravano sia l’influenza esercitata da Lazzaro in seno al consorzio Valsusa, che di fatto considerava di sua proprietà, sia il ruolo di unico interlocutore della committente Ltf», scrivono i magistrati. «Prendiamo tutto noi, Nando», si sente in una delle intercettazioni. E Lazzaro conferma: «Prendiamo tutto noi». Tra gennaio e marzo 2012 poi il titolare di Italcostruzioni cerca «di fare entrare Toro all’interno del Consorzio Valsusa».

Mentre Giovanni Toro però è indagato per concorso esterno con il clan crotonese, Lazzaro è soltanto inquisito per smaltimento illecito dei rifiuti di cantiere. Scarti, hanno assicurato gli inquirenti in conferenza stampa, che non c’entrano con il sito di Chiomonte. Ma su questo le verifiche dovranno continuare. Anche perché in un passaggio dell’ordinanza Toro fa riferimento a dei rifiuti da smaltire reimpiegandoli nei lavori Tav.

È stato Ferdinando Lazzaro quindi, secondo le indagini, a portare Toro nel cantiere più contestato d’Italia. Anche se a Toro mancavano le autorizzazioni. Infatti, Toro, agitato perché non sapeva da dove far passare i suoi camion, privi delle necessarie autorizzazioni, si sentiva rispondere da Lazzaro che per i permessi ci avrebbe pensato lui: «Lo faccio attraverso la Prefettura, gli dico che dobbiamo asfaltare, è urgente, che dobbiamo passare per forza da lì… mi devi mandare le targhe per email o per fax come vuoi». E, in altri dialoghi, a Toro viene chiesto di inviare in cantiere una «pala gommata».

L’imprenditore sotto inchiesta per connivenza con la ‘ndrangheta avrebbe parlato con un certo Elia di Ltf. «Toro riferiva di aver ricevuto da Elia la richiesta di posare 12 centimetri di asfalto poiché sarebbero stati effettuati dei controlli con i carotaggi». Questo è motivo di discussione tra Lazzaro e Toro in quanto i patti erano diversi. Lo strato di asfalto doveva essere di 8. Inoltre emerge dalla stessa telefonata che sul fondo erano stati stesi soltanto due centimetri di materiale e l’asfalto avrebbe avuto difficoltà ad aderire: «Tu speri che si attaccano 2 centimetri di fresato? Una bella minchia». Lazzaro però lo tranquillizza, rassicurandolo sul fatto che erano d’accordo con Elia che ne bastavano dieci di centimetri perché «i carotaggi sarebbero stati fatti solo nei punti dove c’era più materiale».

Dialoghi che mostrano l’interesse pieno di Toro nei lavori Tav. Il fatto che emerge, e che dovrebbe far riflettere sulla sicurezza del cantiere, è che gli investigatori non hanno trovato traccia di contratti registrati tra Toro, Italcostruzioni o Ltf. Il che vuol dire, secondo gli inquirenti, che l’azienda ha lavorato sotto gli occhi dei militari che presidiavano il sito senza un pezzo di carta che certificasse la sua presenza. Tra le oltre 900 pagine di ordinanza di custodia cautelare c’è anche un commento di Toro sulla qualità della posa dell’asfalto, secondo lui fatta «con modalità approssimative».

[…] Delle imprese Toro e Lazzaro però c’era anche traccia nei documenti sequestrati ai militanti No Tav. Bollati come terroristi che accumulavano materiale chissà per quale scopo criminale. Oggi invece la storia sembra un po’ diversa: facevano lavoro di controinformazione.”

 

Posted in Inform/Azioni, lavoro, no tav, torino.

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