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07 – giugno – punto info solidale con i prigionieri del CIE in lotta

DSCN0181Venerdì 7 giugno
Punto info antirazzista in solidarietà
con i reclusi del CIE di Torino in lotta
dalle 20,30 in via Po 16

Le gabbie della democrazia
Negli ultimi mesi il CIE di Torino è stato teatro di proteste, rivolte, tentativi di fuga.
La mera cronaca delle ultime settimane fotografa susseguirsi di lotte dentro questa prigione per uomini senza carte.
Sabato 25 maggio, mentre a Porta Palazzo veniva ricordato il quinto anniversario della morte di Fatih, lasciato morire senza cure nel CIE di Torino, due ragazzi sono saliti sul tetto dell’area rossa per tentare di evitare la deportazione in Tunisia. I compagni di sezione li hanno aiutati ad allestire una sorta di tenda per ripararsi. Lì hanno resistito 10 giorni. Sono scesi quando i poliziotti li hanno minacciati di un duro pestaggio.
Giovedì 30 maggio e lunedì 4 giugno ci sono state proteste collettive in varie aree, con materassi bruciati e lancio di oggetti contro le guardie.
Ogni giorno c’è chi si taglia, chi ingoia pile, chi decide di non mangiare.
La storia del CIE di Torino, sin dalla primavera del 1999 quando venne aperto, è un susseguirsi di proteste, rivolte, tentativi, raramente riusciti, di evasione.

I prigionieri hanno lottato duramente per riprendersi la loro vita, la libertà di muoversi e cercare un’opportunità di vita dove preferirono. La loro storia è lo specchio di quella di tutti i poveri che migrano. Sino a pochi anni fa la gente del nostro paese chiudeva la propria vita in una valigia per mettersi in cammino.
Ma la memoria è corta. Capita che chi era vittima ieri si faccia aguzzino oggi.

Mettere i poveri gli uni contro gli altri è stata la scommessa dei governi degli ultimi vent’anni: hanno giocato la carta della paura del diverso per alimentare la diffidenza, per suscitare l’odio, per creare il consenso verso un apparato legislativo che imbriglia le vite degli immigrati, trasformandoli in lavoratori/schiavi.
Nel nostro paese non ha diritto a rimanere chi non ha un posto fisso, a posto con i libretti. L’immigrato vive sotto ricatto. Chi è in nero deve piegare la testa, perché è un fantasma senza nessuna libertà né tutela. Chi ha un lavoro regolare teme di perderlo se protesta per orario e salario. Se perde il lavoro perde anche il permesso.

In questi anni i governi hanno fatto a pezzi gran parte delle libertà e tutele dei lavoratori italiani. I lavori precari, in affitto, pericolosi, il caporalato legale ed illegale sono divenuti la norma.
La condizione di chi per vivere deve lavorare sono peggiorate: i lavoratori con la carta di identità italiana sono sempre più simili agli stranieri.
La guerra tra poveri si è stemperata nella difficoltà del vivere nelle nostre periferie, dove arrivare a fine mese è sempre più difficile per tutti.
La guerra che padroni e governi fanno contro i poveri è sempre più feroce. La fatica ad arrivare a fine mese, la disoccupazione, gli sfratti toccano tutti allo stesso modo.
In questo paese si può fare un anno e mezzo dietro le sbarre per aver perso il lavoro o per non essere riusciti a farsi assumere in modo regolare. Condannati perché poveri e stranieri.
Il governo è in difficoltà: tanti CIE sono stati in parte distrutti dalle rivolte. Quando vengono rimessi a posto vengono nuovamente danneggiati o incendiati.
I vari ministri dell’Interno reagiscono facendo dormire in terra i prigionieri, rinchiudendoli nelle mense o in isolamento.
Il governo Monti progettò di ristrutturarli per renderli sempre più simili a prigioni, con tanto di celle differenziate per gli immigrati “pericolosi”. Letta ha assunto l’eredità di Monti.
Forse hanno ragione. Il desiderio di libertà è pericoloso. Per chi progetta gabbie per uomini, per chi mantiene leggi razziste, per chi si fa ricco sfruttando le vite dei poveri.

Spetta a noi comprendere una verità facile facile: i padroni guardano il colore dei soldi non quello della pelle.

Le politiche di contrasto dell’immigrazione trovano meno consenso rispetto a pochi anni fa.
Sempre più sono quelli che vorrebbero che le prigioni amministrative riservate agli immigrati senza carte, che possono esservi reclusi sino a 18 mesi, siano una vergogna da cancellare.
Ma non basta l’indignazione. I prigionieri dei CIE lottano ogni giorno, spesso nel silenzio e nell’indifferenza di tanti. Troppi.

Ti ricordi di Fatih?
Antirazzisti contro la repressione

Riunioni – aperte a tutti gli interessati – ogni lunedì alle 21 in corso Palermo 46