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07 marzo. Antifascisti in manicomio: i lager della follia

2014 02 28 antifa manicomio copyVenerdì 7 marzo
“Capaci di intendere e volere. La detenzione in manicomio degli oppositori al fascismo” di Marco Rossi.
Presentazione del libro con l’autore alle 21 in corso Palermo 46

Ascolta l’intervista con Marco Rossi

La psichiatria nasce come scienza dedita alla normalizzazione e alla reclusione e, da quando esiste, svolge il suo ruolo repressivo affiancando poteri politici, sociali e religiosi.
In Italia il sistematico utilizzo del manicomio per reprimere silenziosamente gli oppositori era stato teorizzato nell’Ottocento dal criminologo Cesare Lombroso e applicato dallo Stato liberale contro il nascente movimento operaio e contadino.

Durante il regime fascista centinaia di donne e di uomini, “schedati” per le loro idee e il loro agire in contrasto con l’ordine costituito, sono stati privati della libertà, non solo in carcere o al confino, ma anche dentro strutture manicomiali.
La psichiatria diventa complice del potere, il sapere medico viene asservito al potere poliziesco e giudiziario: la detenzione manicomiale venne praticata con logica totalitaria e disumana, nel tentativo di zittire le voci del dissenso e di annientare le vite e le intelligenze non sottomesse, rinchiudendo e torturando i corpi delle persone libere nei lager della follia.

Le diagnosi usate per internare oppositori e dissidenti erano “politiche”: epilessia politica, follia bolscevica, squilibrio politico, altruismo morboso, pericolosità sociale. Queste etichette dimostrano come un pensiero possa subire lo stravolgimento della propaganda e possa essere fatto passare per deviante, e messo pertanto fuori gioco. Se infatti all’interno di un carcere o al confino, l’individuo mantiene la sua dignità di oppositore, all’interno del manicomio esso è un “folle” come tanti e il suo pensiero è frutto della sua malattia.

Ancora oggi, a trent’anni dalla chiusura dei manicomi, la psichiatria continua nelle pratiche di etichettamento diagnostico, marginalizzazione, repressione e manicomializzazione di individui ed esperienze non allineate e non allineabili. Oggi l’internamento viene fatto attraverso pratiche “eccezionali e di urgenza”, come il trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Vicende tragiche come quella di Franco Mastrogiovanni, morto dopo essere stato abbandonato legato ad un letto per quattro giorni, ne hanno svelato la violenza e atrocità.
Gli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), lontana eredità della scuola di Lombroso, avrebbero dovuto chiudere un anno fa, resteranno aperti sino al 2018. Sono luoghi di reclusione e tortura, dove uno psichiatra può decretare la reclusione a vita, anche se il reato per il quale si è stati dichiarati “incapaci di intendere e volere”, è un banale furtarello.

Oltre alla reclusione coatta, la psichiatria oggi più di ieri continua ad inventare nuove malattie, ad etichettare comportamenti finora ritenuti “normali” e che diventano “devianti” e da curare, allargando così il suo bacino di utenti e consumatori di psicofarmaci. L’invasione della diagnosi nelle nostre vite e l’uso istituzionale di pseudopatologie, smitizzano anch’esse la pretesa imparzialità della psichiatria, così come le storie raccontate in questo libro.

Ancora una volta la follia non è quella degli ospiti dei manicomi, ma piuttosto la follia degli psichiatri e delle loro diagnosi, la follia delle parole di Lombroso, la follia di una scienza asservita al potere.