Skip to content


Tra teocrazia finanziaria e governance mondiale: quali prospettive per i movimenti di opposizione?

Alcuni si domandano se uno dei possibili esiti della crisi non sia la guerra. Nella chiacchierata che abbiamo fatto con Salvo Vaccaro dell’Università di Palermo emergono numerosi scenari possibili.

“Nel secolo scorso – dice Salvo – la fine dei vari imperialismi portò ad un conflitto tra elite sfociato nelle due guerre mondiali: il ripetersi di un simile quadro, nell’ambito dello scontro tra le potenze dominanti e i paesi emergenti del cosiddetto Bric (Brasile-Russia-India-Cina) non si può escludere, sebbene al momento la guerra sia di tipo finanziario.
C’è un altro conflitto all’interno del mondo liberal-capitalista, ben rispecchiato nelle pagine de “il Sole 24 ore”, il conflitto tra l’imprenditoria produttiva o commerciale e l’elite finanziaria.
Quest’ultima non ha alcuna preoccupazione di natura politica, territoriale, industriale, perché fa soldi attraverso i soldi, attraverso quella che impropriamente viene definita “speculazione finanziaria”.

Una guerra vera, una guerra guerreggiata, potrebbe essere l’esito del conflitto derivante dall’impotenza della politica statuale, disarmata di fronte allo strapotere della teocrazia finanziaria. La guerra potrebbe essere usata per sabotare l’incessante fluidità dei capitali nel mondo.
E’ già accaduto dopo l’11 settembre 2001 quando la guerra infinita di Bush ha tagliato un po’ le unghie alla speculazione finanziaria. Un possibile obiettivo potrebbe essere l’Iran o anche l’Arabia Saudita, nel caso le rivolte dei paesi arabi finiscano per contagiarla.
Le conseguenze per chi è vittima di possibili strategie non sono certo rosee, anche se non si tratta di scelte pianificate a tavolino, frutto della regia di un “grande vecchio” che le pianifica, ma si impongono per la forza dei fatti.”

Quali strategie di contrasto dal basso possiamo immaginare?

“La questione è più complessa, poiché azzardare una previsione è ben più complesso che azzardare un’analisi.” Ben diversa – secondo Vaccaro – è la prospettiva per chi vive – sfruttato, malpagato, schiavizzato – nei paesi dove è stata delocalizzata la produzione, che attraverso la lotta possono ottenere una condizione migliore, dal miliardo che non lavora e sopravvive a stento. Ancora diversa è la situazione di chi vive nell’Occidente “ricco”: dal punto di vista politico la democrazia “matura” sta lentamente indebolendosi, esattamente come il capitalismo maturo sta perdendo colpi di fronte alla finanza teocratica. Se la politica istituzionale si trasforma cedendo sovranità di fronte alla forme di governance estranazionali, la stessa politica di opposizione ha le unghie spuntate, perché il nemico appare sempre più impalpabile.

Ci chiediamo tuttavia se il problema non sia piuttosto quello di rintracciare ed allacciare i legami solidali e di lotta tra mondi diversi, poiché, se è vero che lo Stato non ammortizza più il conflitto sociale è altrettanto vero che è ben lungi dall’aver dismesso la propria natura disciplinare. Anzi!

Secondo Vaccaro è vero che a breve termine la violenza delle istituzioni paga, ma a lungo nessun potere riesce a reggersi solo sulla forza, come dimostra la maggior capacità delle democrazie di controllare le popolazioni rispetto ai totalitarismi della prima parte del secolo scorso. Certo l’assottigliarsi dello Stato, prosciugato dalla governance sovranazionale, fa sì che gli Stati non abbiano risorse per rispondere al malessere dei governati che non siano quelle dell’ordine pubblico.
Resta a suo avviso in piedi la questione dell’impossibilità della politica – anche quella extraistituzionale – di colpire un nemico che si allontana.

Questo l’incipit della lunga chiacchierata con Salvo Vaccaro che puoi ascoltare qui