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23 luglio – Sentenza per gli antirazzisti: il PM ha chiesto 80 di reclusione

DSCN0053Giovedì 23 luglio ore 12,30
al tribunale di Torino – corso Vittorio 130 – maxi aula 3 sentenza per gli antirazzisti torinesi.

Nella requisitoria dello scorso dicembre il PM Andrea Padalino ha chiesto pene variabili tra l’anno e mezzo e i cinque anni e mezzo, per un totale di 80 anni.
Con la grazia che lo contraddistingue ha descritto gli antirazzisti come “squadristi” senza il coraggio di rivendicare le proprie azioni, dediti alla violenza, agitatori di professione.
Il PM mirava con questo quadro offensivo a screditare chi in questi anni si è battuto contro le leggi razziste, i CIE, le retate dei senza documenti, la violenza di fascisti e leghisti.
Nel mirino di Padalino l’Assemblea antirazzista. Nel 2010 tentò senza successo di montarci sopra un’associazione a delinquere. Venne smentito dalla Cassazione ma non mollò la presa, imbastendo ben due processi con 67 imputati.

Lo scorso 13 aprile si è concluso il primo dei due processi.
La tesi accusatoria del PM Padalino ne è uscita fortemente ridimensionata. Aveva chiesto 27 anni di reclusione e alcune migliaia di euro di multa, ha ottenuto 20 mesi di reclusione e 27.250 euro di multa per 27 antirazzisti. Solo cinque attivisti hanno subito condanne detentive tra i tre e i cinque mesi.
Alcune accuse minori sono cadute per prescrizione, altre sono state considerate prive di fondamento.

Due le iniziative di lotta per cui sono scattate le condanne.
La contestazione di fronte alla villetta del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile della gestione del CIE per conto della Croce Rossa, il 24 maggio 2008, quando Fathi Nejl morì, dopo una notte di agonia mentre i suoi compagni chiedevano invano che venisse ricoverato in ospedale.
Nei giorni successivi Baldacci dichiarò alla stampa che “gli immigrati mentono, mentono sempre”.
Baldacci ha chiuso la sua carriera e la sua vita, senza che nessuno gli chiedesse conto di quella morte. Gli unici a farlo sono stati condannati per lo slogan, “Baldacci uomo di merda” e per il passaggio del volantino “cinico profittatore dell’affare umanitario”. Vale tuttavia la pena notare che lo slogan “Baldacci assassino” non è stato considerato lesivo della reputazione del colonnello.

L’altro episodio, per il quale sono scattate quattro delle cinque condanne detentive, è la contestazione in un parco cittadino dell’assessore Curti.
Era il luglio del 2008. A Torino in via Germagnano, tra le baracche dei rom, i bambini giocavano nel fango e tra i topi. L’alluvione di primavera per poco non si era mangiata tende e lamiere. Alcune famiglie, stanche di una miseria che aveva segnato ogni momento delle loro vite, decisero di prendersi la loro parte di futuro, occupando una palazzina dell’Enel in via Pisa. La casa era abbandonata da molti anni. Ad un balcone c’era lo striscione con la scritta “casa per tutti!”
Uomini donne e bambini hanno dormito sotto ad un tetto sino al 15 luglio: per alcuni era la prima volta.
La mattina di quel giorno le truppe dello Stato in tenuta antisommossa fecero irruzione nell’edificio: i bambini, spaventati, si svegliarono urlando. Fuori li aspettava un pullman della GTT che li ha riportati alle baracche di via Germagnano.
Due giorni dopo, era il 17 luglio, in piazza d’Armi, nell’ambito del festival ARCIpelago era prevista una tavola rotonda. Politici e professori dovevano parlare di “Paure metropolitane”: tra loro Ilda Curti, assessore con la delega all’integrazione degli immigrati.
Non potevano mancare gli antirazzisti. Armati di striscione, volantini e megafono hanno parlato a Curti delle paure di chi, giorno dopo giorno, vive ai margini di una città che spende per giochi e spettacoli ma permette che i bambini crescano senza una casa.
Curti non tollerò la contestazione, diede in escandescenze ed abbandonò il palco.
Il giorno dopo filò dalla polizia e sporse denuncia.
La casa di via Pisa è rimasta vuota sino allo scorso anno, quando è divenuta sede di una prestigiosa scuola di design. I bambini di via Pisa sono cresciuti tra il fango e i topi.
Oltre sei anni dopo Ilda Curti è ancora assessore, il comune di Torino continua la politica degli sgomberi, cinque milioni di euro sono stati spesi da una cordata di associazioni e cooperative per dare a 250 immigrati rumeni rom un tetto in social housing temporaneo. Agli altri 1200 uomini, donne e bambini di lungo Stura Lazio sono state offerte ruspe, fogli di via e deportazioni in Romania. A fianco di chi viene gettato in strada, rastrellato, perquisito, c’è ancora chi vuole un mondo senza frontiere, senza classi, senza stati, senza razzismo.

Quattro antirazzisti sono stati condannati per aver affidato ad uno striscione e ad un megafono la storia di un piccolo gruppo di rom che, sei anni fa aveva deciso farla finita con la miseria.

Nulla di cui stupirci. Finché ci saranno baracche e chi le abita, finché ci sarà chi ha tutto e chi poco o nulla, finché ci saranno frontiere, galere, CIE, finché ci sarà chi lucra sulle vite altrui, ci sarà anche qualcuno che deciderà di non voler stare alle regole di questo mondo intollerabile e deciderà di mettersi di mezzo.

Il prossimo 23 luglio si chiude anche il secondo processo.
Facciamo un passo indietro.
Siamo a cavallo tra il 2008 e il 2009. Sono anni terribili. La propaganda xenofoba e razzista martellante è la colonna sonora di provvedimenti che perfezionano un apparato repressivo, che sancisce un diritto diseguale, per chi ha in tasca i documenti e per chi non li ha.
E’ in questo periodo che vengono inventati il reato di immigrazione clandestina, i respingimenti collettivi in mare, che trasformeranno il Mediterraneo in un sudario. Nei CIE la detenzione amministrativa passa da due a sei mesi di reclusione: i prigionieri – per Padalino sono ospiti – danno vita ad un’estate di rivolte e di fuoco. Due anni dopo il periodo di trattenimento arrivò a un anno e mezzo. Solo di recente, dopo anni di sommosse che hanno fatto a pezzi il sistema CIE, il periodo di reclusione è stato ridotto a tre mesi.

Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni:
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.

Nell’assemblea antirazzista si intrecciarono percorsi e lotte.
Per quelle lotte la Procura torinese chiede 80 anni di galera.
Furono tantissime le iniziative di quegli anni. Iniziative che, sia pure di minoranza, contribuirono a tenere accesi i riflettori ed a sostenere le lotte dentro i CIE, contro lo sfruttamento del lavoro migrante, contro la militarizzazione delle periferie.

Vogliono tappare la bocca e legare le mani a chi si ostina a voler cambiare un ordine sociale feroce, ingiusto, predatorio, razzista.

I 67 attivisti coinvolti nei due processi sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee di libertà e di volerle tradurre in pratica.
L’impianto accusatorio della procura si basa su iniziative di contestazione sin troppo banali.

In questo secondo processo è entrato il presidio al Museo egizio – 29 giugno 2008 – per ricordare l’operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la protesta – 20 marzo 2009 – alla lavanderia “La nuova”, che lavava i panni al CIE di corso Brunelleschi… l’occupazione simbolica del consolato greco di Torino, dopo l’assassinio di Alexis Grigoroupoulos… Decine iniziative messe insieme per cucire addosso ad un po’ di antirazzisti accuse tali da portarli in galera.

In questi anni – pur finita l’esperienza dell’Assemblea antirazzista, chi vi si era riconosciuto ha continuato, ciascuno a suo modo, a lottare per le strade di questa città.
Padalino ha sostenuto che la prova della criminalità degli antirazzisti è nella continuità delle lotte, che vanno avanti nonostante la repressione.

L’urgenza politica e morale di quegli anni è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri è oggi più che mai un’urgenza ineludibile. Provano a fermarci con la repressione: non ci riusciranno.