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La Val Susa paura non ne ha

La criminalità del potere
Lunedì 27 febbraio ore 8. La polizia in assetto antisommossa esce dalle reti e circonda la baita Clarea, la baita dei No Tav, il simbolo della resistenza alla violenza dello Stato.
Un compagno dell’alta valle, Luca Abbà del Cels, riesce a eludere la sorveglianza della polizia e si arrampica su un traliccio dell’alta tensione a trenta metri dalla Baita. Da lì fa una diretta con Radio Blackout annunciando l’intenzione di resistere per rallentare lo sgombero dell’area.
Un carabiniere rocciatore comincia a salire per bloccarlo: Luca grida di non proseguire altrimenti sarebbe salito ancora. Con criminale determinazione gli uomini dello Stato vanno avanti. Luca viene folgorato da una scarica elettrica e cade sulle pietre da sei /sette metri d’altezza. Lì rimarrà per oltre tre quarti d’ora. Nonostante all’interno del fortino ci siano ambulanze, nonostante l’evidente gravità dell’episodio, i soccorsi tardano a venire. La quindicina di compagni che sono alla Baita cercano di avvicinarsi, ma vengono fermati con la forza. Una compagna medico di Roma, chiamata per dare soccorso a Luca, non viene fatta passare.

Solo dopo 45 interminabili minuti di rabbia e dolore Luca viene portato via.
Le sue condizioni sono gravissime
. Mentre scriviamo si trova in rianimazione al CTO di Torino. Ha avuto un versamento ai polmoni, emorragie interne, costole rotte, trauma cranico, una lesione al rene. I medici non sono ancora in grado di valutare le conseguenze della folgorazione sul cuore.
La prognosi è riservata, anche se le sue condizioni sono lievemente migliorate.

Il teorema Manganelli e i No Tav
Il 22 febbraio il capo della polizia, il questore Antonio Manganelli, il funzionario pubblico meglio pagato d’Italia, nella sua relazione alla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, aveva dichiarato esplicitamente che i No Tav e, in particolare, gli anarchici cercavano il morto tra le forze dell’ordine. Luca è anarchico e No Tav. Nemmeno cinque giorni dopo, con un’azione criminale gli uomini in divisa agli ordini di Antonio Manganelli hanno quasi ammazzato un anarchico e No Tav.
Quello capitato a Luca non è un incidente. In casi analoghi – l’anarchico e nonviolento Turi salito su un albero quest’estate – vengono chiamati i vigili del fuoco, che non intervengono se la loro azione rischia di minare l’incolumità di chi, volontariamente, attua un’azione di protesta.
La guerra dichiarata dal governo Berlusconi alla popolazione della Val Susa e a tutti quelli che resistono alle politiche di rapina delle risorse e devastazione del territorio, ha fatto un salto di qualità con il governo Monti, che, specie su questo terreno, gode del sostegno bipartisan del centro destra e del centro sinistra. Gli uni e gli altri stanno facendo fare il lavoro sporco al tecnocrate voluto dalle banche per normalizzare – con le buone o con le cattive – il paese.
Quella che si sta giocando in Val Susa è una partita cruciale per il futuro di noi tutti.
Non è più solo una questione di ambiente: oggi più che in passato è diventata la sfida di chi si batte per l’interesse generale contro l’arroganza di chi vuole imporre con la forza un’opera inutile, dannosa, costosissima.
La partita sulla linea ad alta velocità tra Torino e Lyon è diventata di giorno in giorno più pesante. È in ballo un intero sistema, un sistema elaborato e oliato per anni, per garantire agli amici degli amici di destra e sinistra, un bottino sicuro e legale.
Le linee ad alta velocità costruite nel nostro paese sono state l’ossatura del dopo tangentopoli: un sistema raffinato e semplice per dribblare tutti gli ostacoli, senza rischiare che un giudice troppo intraprendente mettesse nei guai l’intera cricca di amiconi. Leggi obiettivo, siti di interesse strategico, general contractor sono stati alcuni degli strumenti adottati per cementare un sistema sicuro di drenaggio di denaro pubblico a fini privatissimi. Un sistema che funziona perché va bene a tutti, per tutti c’è un posticino a tavola.
Un sistema che nessuno può permettersi di far saltare. Un sistema che il movimento contro la Torino Lyon ha reso trasparente, mostrandone i meccanismi, aprendo crepe, costruendo una resistenza popolare alla quale guardano in tanti.
La strategia del governo è chiarissima: celare le ragioni della lotta No Tav, declinando nella categoria dell’ordine pubblico un movimento che non riescono a piegare a suon di botte e gas.
La posta in gioco va ben al di là dell’affare Tav. Sul piatto è il disciplinamento di un movimento che è divenuto punto di riferimento per i tanti che si battono per la salvaguardia del territorio, contro lo sperpero di denaro pubblico per fini privatissimi. Un movimento radicato e insieme radicale, capace di autogovernarsi, resistere, mantenendo salda negli anni la propria sfida.
Un movimento che ha saputo intrecciare la lotta concreta contro l’imposizione violenta di scelte non condivise con la spinta a costruire relazioni politiche e sociali all’insegna della partecipazione della solidarietà della giustizia sociale.
Un affronto intollerabile per padroni e governanti, impegnati a trasformare i lavoratori in schiavi docili e sottomessi, impegnati a far pagare a noi tutti il prezzo della loro crisi, un governo che taglia sulla salute, sull’istruzione, sui trasporti pubblici e spende per la guerra, la guerra globale contro i poveri e i ribelli. Compresi quelli di casa propria.
La decisione di allargare il cantiere, a due giorni dalla grande manifestazione del 25 febbraio da Bussoleno a Susa, la dice lunga sull’arroganza del governo, deciso a calpestare la volontà di un popolo che in un sabato di primavera anticipata ha marciato compatto in solidarietà ai No Tav arrestati il 26 gennaio per le giornate di resistenza del 27 giugno e il 3 luglio.

Il corteo del 25 febbraio e le cariche a Porta Nuova
Quella del 25 febbraio è stata una delle più grandi manifestazioni della storia del movimento No Tav. Una manifestazione popolare, acefala, forte delle ragioni di chi lotta contro il supertreno, come emblema di un sistema di relazioni sociali ingiusto e predatorio. Lo striscione di apertura di sindaci e amministratori resta indietro, saltato dal passo veloce di centinaia di No Tav.
Una risposta forte, corale alla repressione e al tentativo di dividere i buoni dai cattivi, i valligiani da quelli venuti da fuori. Se, dopo dieci mesi di occupazione militare, dopo la decisione di Monti di dichiarare la zona del “cantiere/fortino” luogo di interesse strategico militare, speravano di aver fiaccato e logorato il movimento, si sono sbagliati.
Alla conclusione del corteo pochi ascoltano la passerella della triste sinistra senza lotta e senza poltrone, all’inseguimento di voti, nella promessa inutile di tutele, nella speranza vana che la gente abbia la memoria corta sulle giravolte fatte nel convulso valzer del potere.
Bello e partecipato lo spezzone dell’anarchismo sociale, aperto dallo storico striscione di tante manifestazioni: azione diretta autogestione.
Una manifestazione che era difficile criminalizzare, se la feroce fantasia del potere non fosse sempre all’opera.
Alla stazione di Porta Nuova la polizia in assetto antisommossa – centinaia di uomini e una quarantina di blindati – aspetta al binario 20 i manifestanti provenienti dalla Val Susa. Quando scendono li blocca sulla banchina e, con il pretesto del biglietto a prezzo politico pagato all’andata, carica e apre la testa a due No Tav. Parte una trattativa per un nuovo prezzo del biglietto. Quando tutto pare concluso, la polizia apre un corridoio per far passare i No Tav diretti a Milano. È una trappola. Gli agenti caricano con grande violenza. Quando i No Tav riescono a guadagnare le carrozze del treno per Milano hanno sul corpo i segni delle manganellate.

Il giorno dopo, come prevedibile, i quotidiani – in prima fila Repubblica – aprono gli editoriali con la notizia degli scontri a Porta Nuova, con l’immancabile poliziotto ferito da una sassata partita durante le cariche.

 

L’assemblea di Villarfocchiardo

Il giorno successivo, è domenica 26 gennaio, il Polivalente di Villarfocchiardo è affollatissimo. Le notizie sull’arrivo di truppe ormai sono più che sicure: gli alberghi sono pieni, le caserme anche, il tam tam del movimento ne racconta i movimenti. Da alcuni giorni la polizia è nervosa ed aggressiva, un No Tav di Casellette, di turno con il suo comitato alla Baita, si guadagna un pugno in faccia da un agente per aver osato fotografare la perquisizione di un ragazzo. Nel fortino della Maddalena, dopo il lungo sonno invernale, c’è gran movimento di uomini e mezzi. Tutto sembra pronto per martedì notte.

Si discute a lungo ma la scelta è chiara a tutti: bisogna resistere. In prima fila si offrono gli anziani, disposti a legarsi ad un albero e a farsi portar via di peso. I giornali diffondono la notizia.

Il governo decide di anticipare l’attacco.

La mattina successiva viene resa nota una nuova ordinanza prefettizia che vieta le strade, i sentieri, i boschi, i prati. Centinaia di poliziotti escono dal recinto e circondano la Baita. Luca sguscia davanti ai poliziotti e sale sul traliccio. La criminalità del potere non ha limiti. Luca viene folgorato e cade. Mentre il suo corpo esamine giace a terra per quasi 50 minuti, gli operai si mettono al “lavoro”: spianano il terreno, abbattono alberi, fanno i buchi per le palificazioni. Una scena che colpisce duro allo stomaco. Da sempre c’è chi, servo sciocco e brutale, si mette al servizio degli interessi dei suoi stessi sfruttatori.
Quello stesso giorno nelle scuole elementari della Val Susa le lezioni si sono interrotte più volte, perché i bambini vogliono notizie di Luca, perché sono bambini cresciuti bene, respirando l’aria dei presidi, delle manifestazioni, l’aria di un movimento che lotta perché il futuro di chi viene dopo sia migliore del presente terribile in cui siamo forzati a vivere.

Il blocco dell’autostrada
Il tam tam di movimento suona veloce. Alla Azimut di Avigliana gli operai entrano in sciopero e bloccano la produzione. Cub e Cobas proclamano lo sciopero ad oltranza: l’adesione è alta in numerose fabbriche della Valle.
Alle 11,30 i No Tav cominciano a radunarsi alla rotonda di Vernetto, sulla statale 25. Dopo nemmeno una mezzora l’autostrada è occupata. Per l’intera giornata vengono erette barricate, sbarramenti, mentre si allestiscono punti ristoro sia sulla A32 sia sulla statale 24, che è bloccata per impedire il passaggio alle truppe di occupazione, mentre le auto sono dirottate sulla ciclabile. La 25 resta aperta ma è presidiata da manifestanti pronti a chiuderla.
Alle 18 all’assemblea popolare la tensione si taglia con il coltello. Le notizie dall’ospedale confermano la gravità delle condizioni di Luca.

Si decide di mantenere l’occupazione ad oltranza sulla A32 e di provare a bloccare il cambio turno anche in alta valle. Con il blocco dell’autostrada i blindati della polizia sono obbligati a fare il giro dalla Val Chisone e dal Sestriere impiegando un paio d’ore in più per arrivare allo svincolo di polizia di Chiomonte.
In tarda serata la statale 24 e l’autostrada sono bloccate a Salbertrand. Intorno all’1,30 parte l’attacco da oltre quaranta blindati della polizia. Hanno usato idranti e sparato gas sino a saturare l’aria, inseguendo i No Tav anche dentro il paese. Non hanno però fermato nessuno: le porte delle case si sono aperte per dare rifugio ai resistenti. Una tazza di the e il calore di una casa, che si apre di fronte ai partigiani della Val Susa, a quelli del paese e della bassa valle come a quelli venuti da lontano.

Sgombero e nuova occupazione

Martedì 28 febbraio. Intorno a mezzogiorno decine e decine di blindati raggiungono il blocco sulla A32: entrano in azione le ruspe, gli idranti i lacrimogeni. La solita canzone. Ma la gente non scappa. Tanti si siedono a terra, un gruppo musicale suona canzoni popolari. La polizia va avanti, fronteggia i No Tav sulla rampa. Il canto ritmato di quest’ultimo anno si lotta si leva forte e chiaro: “la Val Susa paura non ne ha” Dopo un paio d’ore passano con i blindati.
Nemmeno un’ora dopo l’autostrada è nuovamente occupata.
Di fronte alle ragioni della forza si erge la forza delle ragioni. Le ragioni di tanti uomini, donne, ragazzi, anziani che hanno deciso che la misura è ormai colma.

Maria Matteo (questo articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale anarchico Umanità Nova)