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11 ottobre. Torino punto info su guerra e spese militari

Trenta miliardi per la guerra

Giovedì 11 ottobre
punto info su spese militari e guerra
ore dalle 17 alle 20 in via Po 16

Trenta miliardi di spesa. Per le scuole, gli ospedali, i trasporti pubblici? Nemmeno a pensarci. Per le cose che servono alla vita di tutti si è tagliato e si taglierà ancora. L’unico settore dove non ci sono tagli è la guerra, il business mortale che garantisce ai governi il controllo dei propri interessi all’estero e la pace sociale all’interno.
Quest’anno lo Stato italiano ha speso 30 miliardi di euro, cui nei prossimi anni sia aggiungeranno altri dieci miliardi per 90 cacciabombardieri F35 e ben 1,4 miliardi per le guerre fuori porta.

L’Italia è in guerra da molti anni. La guerra si combatte in Afganistan, si combatte nel Mediterraneo contro profughi e migranti: le armi si costruiscono a due passi da casa nostra.
La guerra oggi si coniuga nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma parla il lessico feroce dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione. Gli stessi militari delle guerre in Somalia, Bosnia, Iraq, Libia, Afganistan, dall’estate del 2008 sono nei CIE, le galere per migranti senza carte, nelle nostre città, nei quartieri dove la povertà e la crisi si mangiano il futuro di tutti.
Hanno mandato l’esercito per reprimere le popolazioni campane in rivolta contro discariche e inceneritori. Hanno militarizzato le zone terremotate dell’Abruzzo.
Gli alpini sono approdati dall’Afganistan alla Valsusa, per presidiare il fortino degli affari e dell’arroganza di Stato.
La separazione tra guerra e ordine pubblico, tra esercito e polizia è sempre più labile.
Saltano tutte le regole formali di regolazione del conflitto e di attenuazione della ferocia della guerra.
Se il nemico è criminale tutto diventa lecito: dalle torture ai lager come Guantanamo, ai bombardamenti di città e villaggi.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Lo rivela l’armamentario propagandistico che le sostiene. Le questioni sociali, coniugate sapientemente in termini di ordine pubblico, sono il perno concettuale dell’operazione.
L’impiego dei militari per sottomettere le popolazioni ribelli del nostro paese è l’ultimo tassello di un mosaico che ben rappresenta la democrazia reale. Chi dissente è considerato un criminale. Un nemico, come in tutte le guerre. Lo scarto tra guerra e politica, tra diplomazia e bombe, tra nemico ed avversario si attenua, diviene impalpabile. Se la politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi, è vero anche il contrario: la guerra è la prosecuzione della politica con ogni mezzo.
L’utilizzo di gas vietati in guerra contro la popolazione della Val Susa, l’occupazione militare, il tentativo di imporre con la forza la devastazione del territorio e lo sperpero di risorse pubbliche sono il segno che la distanza, pur ancora grandissima, tra Kabul e Chiomonte, sta progressivamente diminuendo.
La guerra umanitaria, l’operazione di polizia internazionale, la guerra giusta hanno di volta in volta modellato le politiche del governo contro i nemici “interni”. Sono gli immigrati poveri, e con loro, i miliardi di diseredati cui la ferocia di stati e capitale ha sottratto un futuro. Sono tutti coloro che si battono contro un ordine ingiusto, fondato sulla rapina delle risorse, la distruzione del territorio, la negazione di ogni socialità senza merci. Sono quelli che si mettono di mezzo, che sanno che la libertà, quella vera, non si mendica ma si conquista, passo a passo, giorno dopo giorno.
La propaganda della paura, che ci vorrebbe nemici dei più poveri, degli ultimi arrivati costruisce il consenso intorno alla barbarie bellica. Stiamo sempre peggio, tra lavori precari e in nero, senza tutele e senza sicurezza, ma ci convinciamo che i nemici siano quelli che stanno peggio di noi, non i padroni che ogni giorno lucrano sulla nostra vita. Bisogna rompere la propaganda di guerra, costruendo ponti solidali tra gli oppressi e gli sfruttati. Un lavoro quotidiano, difficile, concreto.
E altrettanto concreta deve essere la lotta a chi la guerra la prepara, la finanzia, la alimenta, la fa.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.

La guerra va fermata, inceppata, boicottata.

Nessuna pace per chi fa guerra!

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torino
corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21
338 6594361 fai_to@inrete.it