Il recente caso dell’anziana gravemente malata abbandona in una barella ha fatto scandalo. Ma quello della sanità italiana è un vaso di Pandora sempre aperto a spandere i propri mali.
Mali tutti evitabili, perché nel nostro paese la gente sta male e muore per mancanza di investimenti nella prevenzione, perché la “medicina del territorio” è solo una bella espressione su un pezzo di carta. In questi giorni i medici dei pronto soccorso di tutti gli ospedali di Torino hanno inviato una lettera al presidente della Regione Piemonte Cota, per sollecitare interventi di fronte ad una situazione ormai insostenibile. La carenza di posti letto, i pazienti, anche gravi, parcheggiati nei corridoi non sono l’eccezione ma la regola in una Regione dove si chiudono i piccoli ospedali, dove sempre più la salute è un lusso.
Non va meglio al sud, dove la situazione è da sempre strutturalmente peggiore che nel settentrione.
Radio Blackour ne ha parlato con Ennio Carbone, medico oncologo, ricercatore all’Università di Catanzaro.
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Di seguito alcuni dati sulle conseguenze delle vistose riduzioni di spesa attuate dai governi succedutisi negli ultimi anni.
Quarantacinquemila posti letto tagliati in 10 anni, soprattutto nelle strutture pubbliche. Attese nei pronto soccorso anche di 12 ore. Carenza cronica di personale e difficoltà a essere trasferiti in un vero posto letto se si rende necessario il ricovero. E, più in generale, un incremento del ricorso alle strutture private accreditate in 12 regioni su 20. La riforma della sanità finora ha portato principalmente tagli di posti e piani di rientro, lasciando sulla carta la cosiddetta “medicina del territorio” che dovrebbe fungere da collegamento tra ospedale e cittadino, assicurando cure e assistenza per tutte le 24 ore soprattutto a chi soffre di patologie non acute.
La rete ospedaliera italiana è vicina al collasso in molte zone del Paese, soprattutto in grandi città come Roma, Napoli o Torino, dove la riduzione dei letti in corsia, la chiusura dei piccoli ospedali e la mancanza di strutture di riferimento sul territorio sta portando all’intasamento dei Pronto Soccorso, con il moltiplicarsi di situazioni limite come quelle del San Camillo o del il Policlinico Umberto I di Roma, finiti nelle cronache delle ultime settimane.
45mila posti letto in meno: tanto è stato tagliato tra il 2000 e il 2009, il 15,1% del totale. Si è passati dal rapporto di 5,1 posti letto ogni mille abitanti di 12 anni fa al 4,2.
Un dato che ci pone sotto la media europea, che è di 5,5 per mille. I tagli maggiori si sono avuti in Sardegna (-22,6%), Friuli Venezia Giulia (-21%), Puglia (-20,2%) e Lazio (-18,8%). Quelli più modesti invece in Campania e Abruzzo (che, come quasi tutto il Sud, partivano da una realtà ospedaliera già sottodimensionata rispetto al centro-nord), mentre le uniche regioni che hanno evitato i tagli sono Molise e Valle d’Aosta, che hanno visto addirittura un incremento di circa il 9% dei posti letto ospedalieri.
Triplo dei tagli nel settore pubblico: a risentire maggiormente del calo di posti letto è stato il settore pubblico, dove in media, a livello nazionale, il ridimensionamento è stato del 17,2%, cioè più di tre volte di quanto tagliato nel privato, dove le riduzioni hanno riguardato solo il 5,3% dei letti delle case di cura private accreditate. Tuttavia, analizzando solo il dato del privato per singola regione si scopre che appena otto regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Calabria e Sardegna) hanno ridotto i posti letto nel privato, mentre tutte le altre realtà locali hanno incrementato il ricorso al privato accreditato con picchi di oltre il 50% in Liguria, Abruzzo, Molise, Basilicata. Numeri che hanno fatto spostare di ben due punti la bilancia del rapporto tra posti letto pubblici (dall’82,8% del 2000 al 80,8% del 2009) e posti letto nel privato accreditato (dal 17,2% del 2000 al 19,2% del 2009), a tutto vantaggio di quest’ultimo.