Per anni i nostri passi hanno segnato lievi i sentieri della Val Clarea, della strada delle Gorge, lì dove la Valle si stringe, il fiume scorre tra pareti strette e la presenza umana si presenta nelle vigne che salgono su pendii ripidi ed assolati. L’autostrada è il primo segno tangibile di un mondo che corre veloce per far girare le cose, secondo logiche segnate dal ritmo del denaro, un ritmo forsennato che ingoia se stesso, che non ha futuro, perché vive dell’eterno presente della transazione che in un istante sposta miliardi, incurante delle vite straziate di tanta parte del pianeta.
Qui siamo dei privilegiati e lo sappiamo bene, sappiamo che le briciole della grande torta bastano a farci campare decentemente. Ma i nostri passi non sono in difesa di privilegi, ma perché una vita decorosa non sia più un privilegio ma una possibilità offerta a tutti. Qui e in tutti i remoti altrove di questa terra.
Nell’ultimo anno i nostri passi si sono moltiplicati, confusi, spesso affrettati. La strada delle Gorge, l’imbocco della Val Clarea sono divenute terreno di guerra. Una guerra moderna. Le truppe che avanzano, devastano picchiano e gasano i civili. I civili, specie quelli che osano resistere, etichettati come delinquenti. Ancora non hanno detto che tutti, anche i bambini, siamo terroristi. In Afganistan lo fanno da dieci anni, qui stanno ancora attrezzando l’apparato propagandistico. Per ora si limitano ad additare anarchici e antagonisti. Con l’eccezione di Mario Virano, l’architetto con il doppio ruolo di Commissario Straordinario per la Torino Lyon e presidente dell’Osservatorio tecnico sul Tav, che ha dichiarato che gli estremisti non sono infiltrati, ma vengono invitati dai valsusini. Anche lui, non diversamente da chi ama contrapporre i valligiani buoni e sciocchi agli specialisti della guerriglia venuti da fuori, chiude gli occhi di fronte alla verità. La verità banale che il movimento No Tav è ampio, trasversale, plurale ma unito dalla capacità di discutere e decidere insieme i propri obiettivi.
In Clarea, dal 27 giugno dello scorso anno, abbiamo visto crescere il deserto: alberi tagliati e recinzioni, filo spinato e asfalto, blindati e cingolati.
Sono trascorse due lunghe settimane dal 27 febbraio, quando sono usciti dalle reti per prendersi tutto, compresa la baita No Tav. Per poco non si sono presi anche la vita di Luca, folgorato dall’alta tensione, mentre un agente rocciatore/rambo lo inseguiva sul traliccio che sta davanti alla Baita.
Luca poco a poco migliora, è stato operato per cercare di rimuovere i tessuti del braccio necrotizzati dalla corrente, ma forse sarà necessaria un’altra operazione. Domenica 11 marzo una piccola folla di compagni e amici si è radunata davanti al CTO per un presidio silenzioso che gli facesse sentire la nostra vicinanza.
La baita invece è stata ingabbiata dalle reti e dai jersey. Intorno il deserto ha fatto altri passi avanti: gli alberi sono venuti giù, il terreno è stato spianato. Il traliccio sul quale era salito Luca e, dopo di lui, Turi, ha una corona di filo spinato a lamelle, quello che taglia la carne come decine di rasoi affilati.
La vecchina di gommapiuma è stata impiccata ad uno dei jersey che stringono la baita.
Uno sfregio. Vogliono umiliarci, riescono solo a farci più forti.
Questa settimana le azioni sono proseguite tutti i giorni, anche se il ritmo è stato più lento.
Lunedì 5 marzo. Bussoleno, ore 18,30: il vento della Val Susa ghiaccia tutti ma non raffredda la voglia di lottare. Dopo una breve assemblea si decide di fare una capatina in autostrada: si torna allo svincolo di Vernetto, sgomberato con la violenza mercoledì scorso e chiuso dalla polizia senza alcun motivo apparente. O, forse, un motivo c’è: punire, chiudendo l’uscita autostradale – in questo tratto gratuita – la gente di Bussoleno e di Chianocco. Qui i No Tav sono tanti, quelli in prima fila nella lotta come quelli che hanno aperto le porte delle case e dei cortili a chi fuggiva dalle cariche.
Si blocca l’autostrada per un’oretta. Poi si va.
Martedì 6 marzo. Assemblea popolare al Polivalente di Bussoleno. Poche parole, molte proposte operative: una 24 ore di lettura delle 150 ragioni No Tav ai cancelli che serrano strada dell’Avanà a Chiomonte, spezzone No Tav al corteo delle donne di sabato 10 a Torino, presidi alle carceri dove sono rinchiusi gli attivisti arrestati il 26 gennaio, nuovi blocchi dell’autostrada e delle ferrovie, azioni di disturbo agli alberghi che ospitano le truppe di occupazione.
Mercoledì 7 marzo. Per 24 ore a Chiomonte alcune decine di No Tav si alternano nella lettura delle 150 ragioni della lotta.
Giovedì 8 marzo. Un presidio di donne No Tav a Susa si trasforma in corteo e si dirige al Comune. Per strada interseca la sindaco Gemma Amprino, schierata sul fronte Si Tav, e la “invitano” ad un dibattito in Municipio. Lì, dopo la discussione, le offrono un mazzo di lacrimogeni dipinti di giallo, l’unico fiore che cresce in abbondanza in questo primo scorcio di primavera valsusina.
Sabato 10 marzo. In piazza Castello le femministe della Casa delle donne, legate a filo doppio all’amministrazione di centro sinistra della città, disertano l’appuntamento. Le donne No Tav con il loro striscione “partigiane della Val Susa” sono la maggioranza delle circa 400 persone che lentamente percorrono via Roma per raggiungere la Stazione di Porta Nuova blindata dalla polizia.
Niente mimose ma grandi mazzi di prezzemolo, per evocare il passato che sta tornando, con lo spettro reale degli aborti clandestini. In Piemonte presto nei consultori ci saranno i volontari del movimento per la vita, mentre Cota promette soldi a chi non abortisce.
Le donne No Tav, ricordando le sentenze che definiscono “lieve” lo stupro di gruppo, scandiscono lo slogan “la violenza sulle donne cosa vuoi che sia, in Val Susa la fa la polizia”.
Domenica 11 marzo. È il giorno dei presidi davanti ad alcune delle carceri dove sono rinchiusi i No Tav. In Piemonte si fanno presidi alle Vallette di Torino, dove sono rinchiusi Alessio e Jack, a Ivrea, dove è imprigionato Luca. Ad Alessandria il presidio si fa in centro città, dove già il giorno precedente si era svolto un presidio contro il terzo valico ed in solidarietà a Tobia.
Poi tutti convergono al CTO dove è ricoverato Luca Abbà.
Sullo sfondo resta la questione dello sciopero generale, approvato per acclamazione in ben due assemblee, si incaglia nelle maglie dei giochi istituzionali. La Cominità Montana prende tempo, alcuni attivisti temono il confronto con il 2005, la Coldiretti ha deciso di sedersi al tavolo delle trattative, i commercianti della Ascom si sono defilati da tempo. Così la decisione definitiva slitta in avanti.
Mentre scriviamo è in corso un incontro tra Regione, Provincia, Comune di Torino e sindaci No Tav, cui in extremis è stato invitato anche il presidente della Comunità Montana, Sandro Plano.
Comune, Provincia e Regione mettono sul piatto un po’ di soldi di compensazioni, in cambio della non belligeranza delle amministrazioni. Vogliono rompere il pur fragile asse tra il Movimento e la maggioranza dei sindaci. Plano ha dichiarato che il consenso non si compra, ma si è detto disponibile a discutere, il suo predecessore Ferrentino, diversamente dagli altri non chiede di interrompere i lavori, ma ripropone il suo F.A.R.E., ossia il progetto di realizzare a gradi la Torino Lyon, partendo da Torino. Ma, con buona pace del sindaco di S. Antonino, gli interessi sono tutti sul tunnel e sul suo Tav “a rate” da tempo il governo ha tirato la riga blu. Solo se il conflitto crescesse al punto di consigliare una tregua, il vecchio venditore di fumo potrebbe tornare utile.
Al di là dei giochi istituzionali la partita vera si gioca altrove. Il governo pare pronto ad andare avanti ad ogni costo, i No Tav sono decisi a resistere. Due settimane fa i No Tav – per la prima volta in 10 mesi – hanno messo in difficoltà il governo. La lotta si è estesa a tutta Italia, saldandosi con le tante resistenze del nostro paese. Scegliendo di giorno in giorno i luoghi e i modi dell’agire, decidendo da se come e dove inceppare il meccanismo dell’occupazione militare, hanno posto un bel po’ di bastoni tra le ruote di un apparato poliziesco imponente. Nonostante l’ancor più imponente apparato propagandistico, alcune crepe nell’informazione irreggimentata si sono aperte.
§Un’intera classe politica gioca in Val Susa la propria capacità di controllare con la forza un territorio, senza perdere troppo consenso. Se vengono sconfitti qui, tutto potrebbe diventare più difficile nel resto d’Italia. Lo sanno loro, lo sappiamo noi.
Maria Matteo (quest’articolo uscirà sul prossimo numero, il 10, del settimanale Umanità Nova)
Per ripercorrere le tappe di queste due lunghe settimane leggi i due articoli precedenti.
“La Val Susa paura non ne ha”, uscito sul numero 8, e “No Tav. Cronache resistenti. Quelli che non mollano”, uscito sul numero 9.
Ascolta l’approfondimento di Anarres sulla lotta No Tav, trasmesso domenica 11 a radio blackout
One Response
Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.
Continuing the Discussion