L’Italia è in guerra. Lo chiamano “peace keeping” ma è guerra. Là, in Afganistan, ogni giorno bombardano, uccidono, imprigionano, torturano. A morire sono uomini, donne e bambini. Ma che importa? Gli affari dei petrolieri e dei fabbricanti di armi vanno a gonfie vele.
Raccontano la guerra nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma la quotidianità è un’altra: i militari italiani combattono tutti i giorni, senza troppi riguardi per la popolazione inerme.
Usano bombardieri AMX e elicotteri d’attacco Agusta. Giocattoli mortali, capaci in pochi minuti di annegare nel fuoco un intero villaggio. Giocattoli prodotti a due passi da casa nostra: gli AMX li fa l’Alenia di Torino e Caselle.
I militari nelle città costano a noi tutti 62 milioni di euro l’anno.
La spesa militare aumenta ogni anno. I tagli nei servizi hanno finanziato l’acquisto di nuove armi. Con i soldi di uno solo dei novanta cacciabombardieri F35 acquistati dal governo si pagherebbero tante cose utili alla vita di noi tutti, non armi per ammazzare qualcuno dall’altra parte del mondo. Il bilancio della difesa è in costante aumento: soldati in strada, missioni all’estero, finanziamento per nuovi sistemi d’arma costano una montagna di soldi. Li abbiamo pagati tutti noi di tasca nostra. L’Italia ha il record del costo più alto per i cittadini. La spesa militare complessiva si aggira intorno ai 30 miliardi di euro. Cifre da capogiro.
La nostra penisola è una sorta di gigantesca portaerei proiettata nei vari teatri di guerra: Basi militari italiane, Nato e statunitensi si trovano in ogni angolo della penisola.
Fermare la guerra, incepparne i meccanismi è un’urgenza che non possiamo eludere. A partire da noi, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, aeroporti, scuole militari, fabbriche d’armi.
Anarres ne ha parlato con Stefano Raspa del comitato contro Aviano2000
Ascolta il suo intervento Ascolta il su intervento