Secondo la Prefettura della Savoia noi “rappresentiamo una minaccia per l’ordine pubblico in Francia, per esserci opposti in maniera reiterata e illegale alle autorità del nostro paese, in occasione delle manifestazioni connesse alla lotta e all’opposizione alla costruzione del collegamento ad alta velocità tra Torino e Lyon” Questo è l’incipit del decreto che ci è stato consegnato oggi al commissariato di Modane dal capitano Stéfane Queval.
Più sotto c’è un lungo elenco di reati che avremmo commesso tra il 2009 e il 2012.
Entrambi avremmo più volte turbato l’ordine pubblico, occupato terreni, fatto danneggiamenti, bloccato pubblici servizi. Uno di noi avrebbe anche rubato e fatto violenza privata.
Bastano tanta fantasia e due righe su un fax ed il gioco è fatto.
Due righe inviate dalla polizia italiana, che bontà sua, il capitano Queval ci mostra, bastano a decretare la nostra espulsione. Il governo francese non vuole permetterci di manifestare domani a Lyon.
Sul foglio che ci danno è scritto a chiare lettere “siccome la nostra venuta coincide con l’incontro tra Monti e Hollande” e visti i “gravi eventi” accaduti in occasione delle “manifestazioni violente e non autorizzate del movimento No Tav italiano”, quali “incendio di furgoni della polizia, occupazione illegale del cantiere, il blocco di autostrade e ferrovie” noi rappresentiamo una minaccia “grave, chiara ed imminente per l’ordine pubblico. Il nostro “comportamento è suscettibile di attentare agli interessi fondamentali dello Stato francese” e decidono quindi di espellerci.
Nevica forte quando usciamo dal commissariato scortati dalla polizia all’imbocco del tunnel autostradale dal quale eravamo usciti qualche ora prima con la prospettiva di una cena francese e della manifestazione del giorno dopo.
Solo lì ci ridanno i documenti. Prima di partire nel nostro francese un po’ così gli diciamo “arrivederci, la lotta continua, ci rivedremo ancora”.
Eravamo stati fermati all’uscita del Tunnel del Frejus dalla polizia in assetto antisommossa, 130 uomini e donne in armi chiamati a blindare la frontiera, per impedire che venga attraversata dal vento di libertà che spira su quest’Europa di soldi, banche e filo spinato.
Fermavano e controllavano i documenti di tutti. Abbiamo capito che qualcosa non andava, quando ci hanno fatto accostare e poi ci hanno invitato a seguirli al commissariato di Modane. Lì siamo rimasti per quasi tre ore su una panca, mentre frotte di uomini dell’antisommossa andavano e venivano. Uno più anziano camminava su e giù dettando i turni per l’indomani. Dall’alta stanza si sentivano i nomi e le targhe dettate al telefono e poi la sentenza “négatif, négatif”. Hanno riempito la camera di sicurezza di gente schiumata sul treno, sinti e rumeni. Il momento peggiore è quando arriva un ragazzino africano magro, magro, con un giubbottino leggero e niente documenti. La sua disperazione traspare da ogni gesto. Come un pesciolino inatteso che si è impigliato nella rete tesa per i No Tav, questo ragazzo la pagherà più cara di tutti. Nell’Europa fortezza i gendarmi non guardano per il sottile e si compiacciono di questa pesca fortunata.
Noi siamo No Tav, siamo “un pericolo per l’ordine pubblico” ma siamo nati nella fortezza, al di là del tunnel abbiamo una casa che ci aspetta. Siamo dei privilegiati.
Questo non ci esime tuttavia dal venire fotografati, davanti, di profilo, di tre quarti. Ci misurano e ci prendono le impronte poi ci portano dal capitano che ci fa sentire al telefono un traduttore che legge in italiano le ragioni della nostra espulsione, ma si rifiuta di tradurre per noi. Proviamo a chiedere la ragione di un provvedimento preventivo, che impedisce di manifestare. Ci dicono esplicitamente che ci buttano fuori perché siamo No Tav. Ci dicono che è la legge e loro sono solo esecutori.
Già. È sempre la stessa storia, ovunque la si scriva, in qualsiasi epoca: i poliziotti obbediscono agli ordini. Quando diciamo che sono le stesse parole dei nazisti al processo di Norimberga, si arrabbiano e ci cacciano via. Questo ci costa un’altra mezz’ora di attesa.
Dicono che la nostra lotta “attenta agli interessi fondamentali dello Stato francese”.
Ci auguriamo sinceramente di sì, perché siamo gente di parte. Stiamo dalla parte del torto, perché stiamo con quelli che non hanno i documenti in regola, perché tagliamo le reti e blocchiamo le strade, perché non accettiamo ordini e leggi imposte, perché siamo uomini e donne liberi.
E vogliamo diventare sempre di più un pericolo per quest’ordine. Fatto di filo spinato, frontiere, espulsioni, guerra ai poveri e a chi non ci sta.
Maria Matteo ed Emilio Penna, espulsi dallo Stato francese perché No Tav