Una delle poste in gioco dell’intervento militare francese in Mali è il controllo dell’uranio, il combustibile che fa andare le 58 centrali francesi.
Due giorni fa le truppe francesi sono entrate a Timbouctou, la città del deserto famosa per i suoi mausolei e per la biblioteca di Avicenna, danneggiati o distrutti dalla furia delle milizie islamiste che hanno preso il controllo della regione abitata dalle popolazioni Tuareg.
La narrazione che i media ci propongono esalta il ruolo delle truppe francesi, giunte a riportare la civiltà in un territorio piegato dalla barbarie islamica, tra popolazioni cui è stata imposta la sharia.
Una narrazione che i francesi vestono con eleganza.
I grandi interessi del governo francese nella regione, pur noti e raccontati da molti osservatori, restano sullo sfondo. Il tema della battaglia di civiltà diviene centrale.
Il modo in cui si racconta una guerra è importante quanto la guerra stessa, perché rilegittima in chiave culturale e umanitaria il neocolonialismo, quello che prende ma sa dare.
Peccato che la triade rivoluzionaria francese che costituisce l’occidente liberale e democratico, si appanni un poco più a sud. Il vicino Niger, a sua volta attraversato dalle tensioni autonomiste della popolazione tuareg, è il deposito di combustibile per le centrali francesi.
Lì liberté, egalité, fraternité sono privilegi riservati ai francesi, privilegi da cui sono esclusi i minatori nigerini di Akokan e Arlit.
Vi proponiamo di seguito un reportage realizzato da Emmanuel Haddad per il sito informativo francese Basta!
I francesi illuminano e scaldano le loro case grazie al lavoro di centinaia di minatori nigerini che hanno lavorato per 20 o 30 anni all’estrazione dell’uranio. Spesso vittime delle radiazioni, soffrono e muoiono nell’indifferenza. Le loro malattie professionali non interessano il governo francese.
L’estrazione dell’uranio è una delle attività più sicure al mondo?
Areva ha sfruttato le due miniere dal principio degli anni Settanta ed impiega ancora oggi 2.600 persone. In mezzo secolo solo sette dossier relativi a malattie professionali che hanno colpito lavoratori delle miniere di Arlit e Akokan, nel nord del Niger, sono stati approvati dalla previdenza sociale nigerina. Di questi sette lavoratori ben cinque sono immigrati francesi, mentre sono solo due i nigerini. Ousmane Zakary, del centro di previdenza sociale di Niamey, rileva che ben il 98% dei minatori è nigerino. Una vera performance sanitaria!
L’estrazione dell’uranio non sarà mica più pericolosa della coltivazione del miglio o delle cipolle? I francesi, che godono dell’elettricità prodotta grazie al minerale nigerino dovrebbero essere felici dell’attenzione di Areva per la salute degli operai.
«I minatori di uranio sono esposti a radiazioni ionizzanti sia per irraggiamento interno che esterno. Sono esposti nelle cave, nelle miniere sotterranee, nelle officine di lavorazione del minerale grezzo, ma anche nelle città e nelle loro case.» Scrive Bruno Chareyron, direttore del laboratorio della Commissione d’Informazione e di ricerca indipendente sulla radioattività, il Criirad. Questo organismo ha fatto numerose ricerche sulla presenza di gas radiottivi nell’aria, nell’acqua e nel cibo ad Arlit. In questa zona 35 milioni di scorie radioattive sono raccolte all’aria aperta sin dall’inizio dell’attività estrattiva. Grazie al vento gas radon e altri derivati si spargono nell’ambiente. «Si tratta di sostanze considerate cancerogene per l’uomo dall’IARC (centro di ricerca sul cancro) sin dal 1988», precisa l’ingegnere e fisico nucleare. Niente cure mediche per gli ex minatori
Come mai allora non è stato reso noto un numero maggiore di malattie professionali? Areva è esemplare nel nascondere le malattie professionali, dissimulare gli studi e le statistiche.
Al centro di previdenza sociale di Nuamey, la capitale nigerina, Ousmane Zakary, abbozza una risposta. Tocca al medico dell’Areva presso i centri estrattivi di Somaïr e Cominak avvertire la previdenza sociale di malattie professionali tra i lavoratori. Poi un medico del lavoro fa una controperizia. «Molti minatori si sono lamentati che il medico di Cominak rifiutava a dichiarare le loro malattie professionali, provando a nascondere le loro condizioni di salute» testimonia Ousmane. Il fatto peggiore è che solo i lavoratori attivi sono presi in carico dall’assistenza sanitaria di Stato nigerina. «Non ci sono cure mediche per gli ex minatori. Però le malattie derivanti dall’esposizione alle radiazioni spesso si manifestano diversi anni più tardi.» racconta Ousmane. «Quattro anni fa il vice direttore di Areva è venuto ad informarsi sulle condizioni di salute degli ex minatori, ma questo non ha cambiato nulla». Oggi agli ex lavoratori non è garantita alcuna copertura sanitaria né dalla loro vecchia azienda né dallo Stato.
Sono tutti morti!
Si moltiplicano le testimonianze dei lavoratori ammalati o dei familiari di quelli morti. «Mio marito era uno dei primi lavoratori della Somair, i suoi colleghi sono tutti morti di cancro, di problemi ai reni o al fegato. Quelli ancora vivi sono paralizzati. Ma non si può dire che la loro condizione dipenda direttamente dall’esposizione, non hanno mica fatto nessuno studio!» Dice Hamsatou Adamou, ostetrica, responsabile del centro di maternità di Arlit e poi di Cominak. Lei ogni settimana prende parte alla riunione dell’associazione degli ex lavoratori e dei loro familiari (ATMSF), creata da Boureima Amidou nel 2009.
Quest’anziano campionatore della Cominak, vittima di un licenziamento illegale a cinque anni dalla pensione, ha deciso di lottare per i suoi vecchi compagni di lavoro. Nel locale attiguo a quello dell’associazione aspettano alcuni sessantenni colpiti da paralisi, problemi renali ed insufficienze respiratorie. Sono dei sopravvissuti. «La maggior parte dei lavoratori di Areva tra il 1970 e il 1990 non sono più qui per raccontarlo. Quelli che sono andati in pensione nel 1990 non hanno retto dieci anni. Sono morti tutti!» Racconta Cissé Amadou che ha lavorato vent’anni per la Somair ad Arlit.
L’uranio a piene mani
Vecchio lavoratore della Cominak, Mamane Sani, è tra quelli che sono riusciti a sopravvivere. Ma a che prezzo… E’ l’ora della preghiera. Questo vecchio fragile non riesce a lavarsi il piede destro secondo il rituale musulmano delle abluzioni. Dal 1992 è paralizzato sul lato destro. La malattia si è sviluppata «troppo tardi» per essere riconosciuta. La Cominak non si è assunta nessuna spesa sanitaria, nonostante i 25 anni passati a lavorare per la società mineraria.
Nel suo lavoro, Mamane è stato a contatto con lo «yallowcake», un concentrato di uranio, che, una volta arricchito, permette di produrre energia nucleare.
Numerosi ex minatori denunciano l’assenza di protezioni: «Maneggiavo direttamente l’uranio. All’inizio, i guanti, non sapevo proprio cosa fossero. Non c’erano neppure le maschere. Tutto questo è arrivato più tardi», racconta Islam Mounkaila, che ha lavorato vent’anni nell’officina di trasformazione della Cominak, e ora è presidente dell’ATMSF.
Molti ricordano le dichiarazioni dell’Areva, il primo imprenditore privato del paese, che afferma di «aver considerato la sicurezza come una componente essenziale del proprio lavoro e di aver realizzato una politica di prevenzione sin dai primi anni del proprio insediamento in Niger».
Areva condannata per danni imperdonabili
Areva ha creato un comitato di salute e sicurezza nel 1999, 45 anni dopo l’apertura della sua prima miniera. «Oggi guanti e maschere di protezione sono obbligatori per tutti i lavoratori.» Sottolinea Boureima Hamidou, che tuttavia denuncia la mancanza di formazione tra i minatori. Un progresso comunque tardivo. «Per una malattia professionale riconosciuta ad un lavoratore francese che aveva lavorato in Niger, quanti sono i morti e i malati per la radiottività – resi invisibili per le scelte di organizzazione del lavoro – tra gli operai del Niger e la popolazione che vive nei pressi delle miniere e delle officine d’uranio nel paese?» s’interroga Philippe Billard, di un’associazione che si occupa di sanità e nucleare.
Areva è stata condannata dal tribunale degli Affaro sociali di Melun per la morte di Serge Venel, impiegato alla Cominak tra il 1978 e il 1985 morto di cancro. L’Areva è stata giudicata colpevole di un danno inscusabile dal tribunale francese. L’impresa ha annunciato l’intenzione di appellarsi alla sentenza.
Verso un’azione giuridica di massa?
Islam Mounkaïla, presidente dell’ATSMF, si ricorda bene di Serge Venel. «Era il mio capo operatore. Noi eravamo molto più esposti di lui: in quanto meccanico lui interveniva solo in caso di blocco o di incidente, mentre noi eravamo sempre a contatto con il minerale», ci spiega, tra un colpo di tosse e l’altro.
Se gli ex minatori nigerini hanno sofferto delle stesse patologie che hanno colpito Serge Venel, dovrebbe essere possibile fare un’azione giuridica collettiva per ottenere riparazione. «Se hanno compensato la vedova di Serge Venel, ci sono migliaia di persone in Niger che hanno diviso la sua sorte, in peggio», avverte Boureima, che aspetta con impazienza il risultato del processo d’appello, previsto per il 4 luglio 2013 a Parigi.
Questo processo servirà alla causa dei lavoratori nigerini? L’avvocato Jean-Paul Teissonière, specialista in materia, è convinto che «La giurisprudenza del Tribunale degli affari sociali di Melun potrà essere perfettamente trasposta. In questo caso, la giurisdizione competente sarà il Conseil de Prud’hommes, tenendo conto, come ha fatto il tribunale di Melun, che erano anche loro dipendenti di Areva. La domanda potrà essere presentata dai lavoratori stessi o dalle loro famiglie in caso di morte».
Ad oggi nessuna traccia di malattie legate all’uranio
Una vera bomba a scoppio ritardato che Areva ha provato a disinnescare creando nel dicembre del 2010 l’Osservatorio sulla sanità nella regione di Agadez (OSRA), in risposta alle crescenti rivendicazioni della società civile di Arlit, dei Medici del Mondo e dell’associazione Sherpa. Queste ONG hanno denunciato sin dal 2003 gli attentati all’ambiente e alla salute dei lavoratori delle miniere dell’Areva in Gabon e Niger. Sul suo sito l’Areva ha scritto che il «proprio obiettivo è offrire un monitoraggio post professionale agli ex collaboratori esposti all’uranio». Con un consulto medico – esami clinici, radiografia ai polmoni degli esposti al minerale, analisi del sangue – ogni due anni. L’OSRA dovrebbe anche assicurare un monitoraggio della popolazione delle zone minerarie, con una analisi dei danni indipendente e scientifica disponibile. Dovrebbe inoltre fare «uno studio sulla mortalità dei minatori tra il 1968 il 2005 per assicurare una totale trasparenza sull’impatto dell’attività estrattiva di oggi e di ieri».
Trasparenza dunque. Ma dopo un anno di consulti medici, non è stata trovata nessuna traccia di malattia legata all’uranio!
«Noi abbiamo rilevato quattro dossier problematici, dove si rivelavano delle anomalie. Dopo le analisi, il comitato medico dell’OSRA ha indicato che non c’era nessun legame con l’esposizione all’uranio, ma nloi abbiamo deciso di farcene carico ugualmente. E un’azione di sanità pubblica, che noi offriamo, anche se si è verificato che non hanno nessuna malattia professionale», si felicita Alain Acker, direttore medico di Areva.
La sabbia è più pericolosa dell’uranio!
In un rapporto Greenpeace mette in evidenza che c’é un inquinamento radioattivo bell’aria, nell’acqua e nelle falde, e manca una sensibilizzazione della popolazione di Arlit, dove «il tasso di mortalità per malattie respiratorie è del 16%, il doppio della media nazionale.
Areva ha reagito pubblicando un proprio rapporto «Areva e il Niger, una relazione duratura», dove si apprende che «la comunicazione di Greenpeace si basa essenzialmente sui timori della gente e sulla disinformazione», pertanto le affezioni allergiche sono dovute «all’azione aggressiva della sabbia per gli occhi e per i polmoni e non all’attività mineraria come lascia supporre Greenpeace».
Quando il giornalista Dominique Hennequin è tornato dal Niger e dal Gabon con un reportage indipendente «Uranio, l’eredità avvelenata», diffuso sulla lista Public Sènat, è stato richiamato all’ordine dal porta voce di Areva per aver osato affermare che l’accoglienza che gli era stata organizzata della società mineraria gli ricordava la Corea del Nord…
Ma come è possibile parlare di trasparenza quando l’OSRA è finanziata al 100% dall’Areva?
«Meno di un terzo degli ex lavoratori delle miniere è stato monitorato. 472 ad Arlit e 39 ad Agadez. Di questo terzo solo un centinaio ha ricevuto una visita medica», scrive Cissè Amadou, vecchio impiegato della Somair.
Operazione mediatica
«Il peggio, è che le visite sono state supervisionate dal dottor Barazè, medico della Cominak da molti anni. Come è possibile che un medico che non ha mai rilevato patologie legate all’irraggiamento dei lavoratori, che sono morti due anni dopo aver lasciato la miniera, possa ritrnare ora sulle proprie diagnosi?», prosegue Cissé Amadou. Dopo tre anni di collaborazione con l’OSRA, l’associazione Sherpa ha annunciato il proprio ritiro. Per l’ONG, la nuova direzione di Areva ha «ridotto gli accordi ad una mera operazione mediatica, senza alcuna efficacia». L’avvenire di quello che Alain Acker, direttore medico di Areva, ha chiamato il «dialogo esemplare e senza precedenti tra autorità nazionali, organizzazioni non governative e un partner industriale responsabile», sembra decisamente compromesso.