La spesa di guerra dell’Italia non conosce crisi.
Il 28 dicembre scorso c’è stata, in sordina, la proroga delle missioni internazionali. Il budget messo sul tavolo dal governo è stato di 935 milioni, inferiore di mezzo miliardo rispetto a quello del 2012. Il testo pubblicato in Gazzetta, però, indica che la copertura finanziaria alle operazioni militari è relativa soltanto ai primi nove mesi dell’anno, cioè fino al 30 settembre 2013. Un taglio col trucco.
Una farsa simile a quella relativa a supposti tagli alla spesa strutturata del comparto difesa.
Quelli di Tremonti prima e la spending review poi sono stati “congelati” temporaneamente in vista della riforma dell’intero comparto voluta dal generale Di Paola e votata dalla camera il 12 dicembre. Gli eventuali risparmi che si otterranno da questa operazione non verranno utilizzati per scuole o ospedali ma resteranno a disposizione della Difesa e saranno impiegati per finanziare l’acquisto di nuovi sistemi d’arma, compresi i caccia/bidone F35 che costeranno 15 miliardi di euro. La loro riduzione si è fermata a 41 esemplari. Di novanta, a quanto pare, non si poteva proprio fare a meno.
La riduzione di 43mila unità, il 25% del personale civile e militare della Difesa e la vendita del 30% delle caserme servirà a comperare nuovi strumenti di morte. Si profila un’escalation di investimenti nell’industria bellica nei prossimi 10-15 anni. Un altro colpo di coda, stavolta assestato dalla casta con le stellette è l’aumento del 21%, dell’ausiliaria per generali e ammiragli in congedo, una sorta di indennità di chiamata, con un costo aggiuntivo per i contribuenti di 74 milioni di euro nel 2013.
Dulcis in fundo ci sono i due sommergibili di “ultima generazione” della classe U 212, detta anche classe Todaro. I due battelli costano quasi 1 miliardo di euro, che sommato all’altro miliardo già speso per altre 2 unità già entrate in esercizio e con base a Taranto, fanno 2 miliardi. Una somma pari a circa la metà dell’Imu sulla prima casa di proprietà.
Decodificare in modo chiaro la spesa di guerra italiana non è facile, perché, come rileva il SIPRI, l’Istituto Internazione di Ricerca sulla Pace di Stoccolma, spese riconducibili alla Difesa sono collocate in altri capitoli di bilancio dello Stato, come le spese per i sistemi d’arma finanziate dal ministero dello Sviluppo economico e le missioni internazionali a carico del ministero dell’Economia.
Con la legge di Stabilità del 2012 il bilancio della Difesa è passato dai 20,5 miliardi del 2011 ai 19,9 miliardi. La cifra totale delle spese militari tuttavia raggiunge i 23 miliardi se si considerano anche gli 1,7 miliardi destinati ai sistemi d’arma e gli 1,4 miliardi per le missioni all’estero. Le spese militari sono spese scomode, per questo si tende a nasconderle, in tutti i Paesi. Secondo il ministero i fondi al “Funzione difesa” sono pari allo 0,84 per cento del Pil (contro una percentuale che, nel 2004, era dello 1,01 e che attualmente negli altri Paesi europei è, in media, dell’1,61 per cento). Dato da cui sono però escluse le spese i carabinieri che sono la quarta forza armata e per i militari che impiegati nel pattugliamento delle strade, impiegati nei CIE o nella repressione dell’immigrazione. In altre parole, le spese per la guerra interna.
Anarres ne ha parlato con Pietro Stara. Ne è scaturita una chiacchierata che è tracimata oltre il tema della spesa per investire una riflessione sugli spazi, le possibilità e l’urgenza di una resistenza al militarismo e alla guerra che non sia solo testimoniale.