È trascorso poco più di un anno dall’ultima grande manifestazione popolare No Tav. Tanta acqua è passata sotto i ponti della Dora. Il 25 febbraio dello scorso anno decine di migliaia di persone diedero la loro solidarietà ai No Tav arrestati il mese prima per la resistenza allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena e per la giornata di lotta del 3 luglio 2011.
Due giorni dopo la polizia attaccò il presidio in Clarea, sgomberò la baita e si prese i terreni ancora non espropriati per allestire il cantiere. Lo stesso giorno la caduta di Luca da un traliccio dove si era arrampicato sperando di rallentare lo sgombero, innescò tre giorni di rivolta popolare, con l’occupazione dell’autostrada e lo sgombero violentissimo con ossa rotte, cariche, gas sin nelle case.
L’ultimo anno è stato segnato dal lento avanzare del cantiere, sempre contrastato dai No Tav, che, nonostante il moltiplicarsi degli arresti e dei processi, non hanno mai mollato.
Il movimento ha tante anime diverse ma la comune volontà di non ridursi ad un ruolo di mero testimone dei disastri e degli sperperi di un’opera inutile e dannosa.
La triste storia della lotta al raddoppio della base NATO di Vicenza, finita con le feste in uno scampolo di parco sottratto ad una struttura militare ormai costruita, rappresenta per tutti un monito ineludibile.
La lobby Si Tav – con l’appoggio di quasi tutti i principali media – lavora per dividere e logorare il movimento. Dividerci sarà difficile, perché sinora tutti i No Tav hanno appoggiato anche le azioni più radicali di sabotaggio del cantiere.
Più insidioso è il rischio della rassegnazione, del cedimento di fronte alla forza, del lento abbandono della lotta attiva, pur nell’ancor ferma opposizione all’opera.
La manifestazione del prossimo 23 marzo – e le tantissime assemblee fatte nei vari paesi – mirano a sconfiggere la tentazione a lasciar perdere, a cedere di fronte alla forza, a dare per scontata la sconfitta.
C’è chi ha scritto che le elezioni rappresentavano una sorta di referendum sul Tav. In realtà la marcia da Susa a Bussoleno è stata organizzata dopo le elezioni per dare un segnale forte al prossimo esecutivo. Chiunque governi deve sapere che i No Tav sono più che intenzionati a continuare nella resistenza attiva.
Una marcia in salita. Per tutti. I vari governi hanno impiegato quasi due anni per fare pochi metri di un tunnel geognostico preliminare ai lavori per la realizzazione del mega tunnel di base tra Susa e San Jean de Maurienne. Hanno dovuto sudare ogni metro, tenendo un presidio militare permanente all’interno del cantiere/fortino. Le azioni notturne a sorpresa hanno obbligato il ministero dell’Interno a rafforzare il contingente fisso, moltiplicando i costi e rendendo sempre più difficile il lavoro della polizia.
La scelta di trattare la questione in termini di ordine pubblico, fatta dopo il fallimento delle mediazioni istituzionali, è un segnale di debolezza della politica, incapace di far rientrare nei ranghi una popolazione ribelle, usando i mezzi normali in questi casi. Una manciata di soldi, qualche promessa, qualche minaccia non sono bastate.
La parola è passata alla forza, impiegata in modo sempre più violento e spregiudicato, pur mantenendo una certa discrezionalità nello scegliere a chi distribuire fogli di via, denunce, arresti.
Oggi il momento è molto delicato, delicatissimo. L’ampia vittoria del M5S, pur ampiamente prevedibile in Val Susa, grazie al successo su scala nazionale, porta una considerevole compagine No Tav in parlamento.
La presenza di un così gran numero di santi in paradiso potrebbe rimettere in gioco meccanismi di delega istituzionale.
Già oggi opera un meccanismo, interno al movimento, di delega ai più attivi che rischia di creare un solco tra una minoranza – pur appoggiata dai più – che partecipa alle azioni e una maggioranza che sfila solo una volta o due l’anno.
L’incapacità di sfuggire, se non occasionalmente, alla tentazione di un confronto diretto con i nemici asserragliati in Clarea, ha fatto sì che i luoghi e le modalità possibili della lotta siano determinati dall’intelligente scelta di campo fatta dal governo. Un luogo lontano dalle case, dalle strade, dagli occhi della gente, un fortino nascosto in una valletta quasi disabitata come la Clarea, dove ci sono solo truppe di occupazione e partigiani è perfetto per un’epopea romantica, decisamente inappropriato all’allargamento della resistenza popolare.
C’è chi gioca una partita di lungo corso, sperando di far crescere le proprie fortune politiche in lunghe estati per i boschi, dove quest’epopea romantica si potrebbe nutrire per anni, magari fornendo combustibile per una sorta di pais basco in versione piemontese.
Attenzione. Non sottovaluto l’importanza dei villaggi di Asterix e raduni di streghe per una lotta che ha la sua forza nella capacità collettiva di costruire una narrazione che regge all’epoca dell’effimero, che ribalta le relazioni sottese alla merce che gira, al denaro che fa denaro, al tempo rubato delle vite al supermarket.
Sono tuttavia convinta che la ricchezza vera del movimento sia altrove. Le assemblee popolari, i presidi di lotta, le Libere Repubbliche sono il magma di un agire politico che, nei suoi momenti migliori si è già emancipato dalla tutela istituzionale.
Questo è il tesoro da preservare e rinforzare, perché nei luoghi dell’agire politico extra istituzionale, nelle zone autonome, cresce un’attitudine critica che non si ferma al Tav, ed investe l’insieme dell’organizzazione politica e sociale. Un salto possibile e necessario a far sì che la radicalità che si esprime nella lotta al cantiere possa rendere ingovernabile un territorio più ampio, coinvolgendo in prima persona nell’azione diretta i tanti che oggi plaudono ma stanno alla finestra.
Nel mutuo appoggio con altri movimenti, nella relazione solidale con chi lotta su diversi fronti, dal lavoro al razzismo, dal militarismo alla celebrazione dei fasti del liberalismo, può innescarsi la relazione virtuosa capace di mettere in campo una massa critica tale da mettere in difficoltà l’avversario e, nel contempo, eludere le sirene istituzionali.
Lo tsunami elettorale rischia di inceppare questo meccanismo, ridando fiato all’idea della democrazia tradita, dei valori da ripristinare, di un’occupazione moralizzatrice delle istituzioni.
Il mixer di populismo, giustizialismo, demagogia e democrazia informatica della compagine grillina potrebbe fare più danni delle botte della polizia e delle inchieste della Procura Torinese.
Non ci aspettano mesi facili. L’ottimismo della volontà ci suggerisce tuttavia fiducia in un movimento, che non si è mai fatto portare a spasso a da nessuno, che ha saputo tagliare il cordone ombelicale con la sinistra che nel 2006 ha incassato voti e poi tradito chi li aveva eletti.
Nemmeno i grillini avranno vita facile all’ombra del Rocciamelone. Anche quelli che li hanno votati hanno dichiarato pubblicamente che sanno bene che il futuro è nelle mani di chi, opponendosi concretamente all’opera, sta continuando a mettere in difficoltà ogni governo che provi a forzare.
Questa volta i libertari hanno una ragione in più per essere in tanti a Susa per la marcia No Tav del 23 marzo. Appuntamento alla stazione di Susa alle 13,30.
Ma. Ma. (quest’articolo è comparso sull’ultimo numero di Umanità Nova)