Anche quest’anno ci siamo ritrovati alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni, operaio delle Ferriere morto combattendo il 26 aprile 1946.
Tobia ha ricostruito quegli ultimi giorni della Resistenza a Torino, tra fabbriche e tedeschi in rotta, tra operai che le difendevano perché pensavano fosse giunto il tempo di riprendere nelle mani il sogno spezzato negli anni Venti, quando i riformisti imposero l’abbandono delle occupazioni e la rinuncia a “dare il giro” ad una storia già scritta. Le vendetta dei padroni, come temeva a ragione Errico Malatesta, fu terribile. Vent’anni di dittatura.
Tra gli operai delle periferie torinese il sogno non si spense mai del tutto. Tanti finirono in galera, al confino o furono costretti all’esilio, altri riuscirono a tessere i fili di una tela sottile ma tenace. A Torino negli anni Trenta c’erano tre gruppi anarchici clandestini, uno di questi era in Barriera.
Nell’aprile del ’45 le fabbriche pensavano di riprendersele, di afferrare con mani salde il sogno fuggito oltre vent’anni prima. I militari statunitensi lo capirono e bloccarono la discesa su Torino delle formazioni partigiane delle montagne.
Gli operai della zona nord della città dovettero vedersela da soli. A Torino si combatté sino al 28 aprile. Ogni angolo delle periferie torinesi è costellato di lapidi che ricordano quelli che morirono in quei giorni di primavera. Una primavera che sfiorì presto.
Le fabbriche rimasero nella mani dei padroni. I fascisti vennero amnistiati da Togliatti. Nel 1969, quando gli anarchici vennero accusati della strage di Stato e Giuseppe Pinelli venne scaraventato dalla finestra della questura milanese dopo un brutale interrogatorio, a capo di quella questura era l’ex comandante del confino di Ventotene. I partigiani che non smisero di combattere dopi i giorni dell’insurrezione, vennero imprigionati per decenni. Alcuni uscirono, anziani ma non domi, solo alla fine degli anni Settanta, quando Sandro Pertini li graziò.
Barriera di Milano era una zona di fabbriche ed un borgo di operai.
La pietra che ricorda Ilio è nel centro del quartiere, all’angolo tra corso Giulio e corso Novara. Sino ad una trentina di anni lì era la spalletta di un ponte su un piccolo canale. Oggi rimane solo un pezzo di muro dove c’è la pietra, il nome, la foto scolorita. Tutti i giorni ci bivaccano ragazzi nati altrove che di questa storia non sanno nulla.
Oggi sono quasi del tutto scomparsi anche i ruderi delle fabbriche. Delle Ferriere, dove lavorava Baroni, restano solo gli imponenti travoni di acciaio in mezzo ad un improbabile parco urbano tra ipermercati e multisale.
Il cuore del quartiere è cambiato. La Barriera aveva resistito agli anni dell’immigrazione dal sud, facendosi teatro di lotte grandi tra fabbrica, scuola, quartiere, eludendo il rischio della guerra tra poveri e del razzismo per costruire una stagione di lotte, che ormai trascolora nella memoria dei tanti la cui vita ne è stata attraversata.
Oggi vivere qui è più difficile che in passato: non è solo questione dei soldi che mancano e del lavoro che non c’è, e, se c’é è sempre più nero, pericoloso, precario.
C’è un disagio diffuso che non sa più farsi percorso di lotta, c’é latente la rabbia verso dei poveri verso i più poveri, quelli nati altrove. Eppure il padrone che ci sfrutta tutti non bada al colore delle pelle ma a quello dei soldi.
Un po’ il vento sta cambiando ma per ora è solo una brezza lieve. Si stringono legami di lotta intorno alle questioni che ci riguardano tutti: la casa, lo sfruttamento bestiale, il caporalato, i trasporti e la sanità tagliati per pagare le guerre e le grandi opere.
Noi, anche quest’anno ci ritroviamo alla lapide: si parla, si brinda, si chiacchiera con chi passa. Non è solo una commemorazione. E’ la scelta tenace per i tanti di noi che in questo quartiere sono nati e continuano a vivere, di alimentare la lieve brezza che segnala il mutare dei tempi.
Annodiamo i fili della memoria di ieri con le lotte di oggi.