Violenza privata e turbativa della libertà dell’industria. Secondo la Procura della Repubblica di Melfi è di questo che dovranno rispondere i tre operai dello stabilimento lucano della Fiat nel processo che comincerà il 5 dicembre. Il decreto di citazione a giudizio, infatti, non lascia spazio a dubbi sul convincimento del pm: la notte fra il 6 e il 7 luglio 2010 – durante uno sciopero – Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, avrebbero bloccato «volontariamente e consapevolmente» la produzione.
Dopo tre anni e tre sentenze dei giudici del lavoro questa vicenda assume un profilo di carattere penale.
Gli operai dopo lo sciopero furono denunciati dalla Fiat e poi licenziati perchè, secondo l’azienda torinese, avrebbero sabotato la produzione durante uno sciopero interno, bloccando di fatto i carrelli che rifornivano le linee, e quindi il lavoro dei colleghi che non stavano scioperando. Nei giorni successivi, a sostegno dei tre operai ci furono manifestazioni e proteste contro la decisione del Lingotto.
Il giudice del lavoro, il 10 agosto, li reintegrò, ma la Fiat il 21 agosto 2010, con un telegramma comunicò che «non si sarebbe avvalsa delle prestazioni» dei tre lavoratori, estromettendoli quindi dalla produzione dopo la pausa estiva, e concedendo loro una saletta per l’attività sindacale. La sentenza però fu completamente ribaltata da un secondo giudice del lavoro il 14 luglio 2011, che diede ragione alla Fiat, licenziando nei fatti Barozzino, Lamorte e Pignatelli. Effetto del ricorso fu un nuovo «ribaltone» giuridico: la Corte di Appello di Potenza nel 2012 ha ordinato alla Fiat il reintegro poichè «non ci sarebbe stata nessuna volontà diretta a impedire l’attività produttiva». L’iter civile della vicenda dovrebbe concludersi il prossimo 13 giugno, con una decisione della Cassazione.
La decisione del PM di Melfi, Renato Arminio, è di fatto un’entrata a gamba tesa volta a criminalizzare una normale pratica di lotta.
Se lo sciopero non fa male al padrone, se non blocca la produzione è inutile.
Colpire con un rinvio a giudizio per violenza privata chi lotta è un avvertimento chiaro per tutti i lavoratori. Chi ferma la produzione non rischia solo il posto, rischia la galera.
L’ultimo colpo di piccone alla libertà di sciopero a meno di quindici giorni dall’accordo sulla rappresentanza che vieta di scioperare contro gli accordi tra CGIL, CISL, UIL e le organizzazioni dei padroni.
L’informazione di radio Blackout ha realizzato una diretta con Simone Bisacca, avvocato del lavoro.
Ascolta il suo intervento
Melfi. L’ultima vendetta
Posted in Inform/Azioni, lavoro, repressione/solidarietà.
– 12 Giugno 2013