Lunedì 29 luglio. Alle prime ore dell’alba scattano una dozzina di perquisizioni, tra Torino e la Val Susa, nelle abitazioni di attivisti dell’area autonoma che fanno riferimento al Comitato di lotta popolare di Bussoleno.
L’accusa è gravissima: associazione con finalità di terrorismo.
Nel mirino la passeggiata notturna al cantiere di Chiomonte del 10 luglio. Una serata come altre negli ultimi due anni di resistenza all’occupazione militare.
Già i commenti di politici e media dopo quella notte preludevano ad un possibile cambio di rotta nelle strategie repressive della Procura di Torino.
Sabato 27 luglio alcune migliaia di No Tav hanno aggirato i blocchi al ponte sul Clarea, guadando più in alto per raggiungere l’area della Centrale a Chiomonte.
C’erano tutti: giovani ed anziani, attivisti di tutti i giorni e sostenitori delle grandi occasioni. Il popolo No Tav unito sulle stesse strade dove il 19 luglio c’era stato l’accerchiamento della polizia, le botte, le torture, gli arresti. L’ambiguità nelle dichiarazioni del gruppo di amministratori che hanno partecipato alla marcia, ha consentito a Repubblica di titolare “I sindaci No Tav la spuntano. Marcia senza incidenti”. In questo modo i fautori del Tav hanno potuto buttare sul tavolo la carta comunicativa della divisione tra buoni e cattivi, facendo aleggiare il sospetto che l’anima moderata avesse sconfitto quella radicale. Nei fatti la passeggiata notturna del 19 luglio e la marcia diurna del 27 erano state indette dal movimento nel suo complesso e pubblicizzate nella medesima locandina
Due giorni dopo la manifestazione popolare di sabato 27, la Procura replica con le perquisizioni: in quasi tutte le case vengono sequestrati computer, telefonini, vestiti scuri, lampade frontali. L’accusa di terrorismo consentirebbe, in caso di arresti – per ora siamo ancora alle indagini – di ottenere lunghe carcerazioni preventive.
Nella conferenza stampa svoltasi nel pomeriggio nella sede della Comunità montana, il presidente, il democratico Sandro Plano, ha preso le distanze da ogni atto violento ed illegale dei No Tav, ma giudicato eccessiva l’accusa di terrorismo.
Il fronte istituzionale sta giocando da qualche giorno la carta della moratoria dei lavori per far ripartire un tavolo di trattativa sull’opera, alla luce delle titubanze francesi e del diverso quadro di priorità che la crisi imporrebbe.
Il movimento, riunito in serata al campeggio di Venaus, ha deciso di partecipare al presidio indetto dai No Tav di Bussoleno per martedì 30 alle 21 nella piazza del municipio della cittadina.
Non si può dire che l’indagine, coordinata dai PM Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, arrivi inaspettata. Le dichiarazioni fatte ai media sin da maggio, facevano presagire che la Procura giocasse la carta di un’accusa pesante come l’associazione con finalità di terrorismo. Un’accusa che potenzialmente potrebbe investire qualsiasi No Tav, al di là delle condotte specifiche che la Procura fosse in grado di provare. Come tutti i reati associativi, la consistenza del dolo non è data dall’aver partecipato direttamente a questa o quell’azione considerate “terroriste” ma dal mero appartenere ad un gruppo considerato tale.
Visto l’appoggio formale del movimento alle azioni notturne in Clarea, ai sabotaggi, ai blocchi, all’autodifesa, chiunque si dica No Tav e partecipi a Comitati, assemblee, campeggi, potrebbe essere accusato di associazione con finalità di terrorismo.
In Val Susa chi prova a seminare “terrore” tra la popolazione per spezzarne la resistenza è l’esercito occupante.
Sarà interessante verificare se questa svolta della Procura otterrà l’effetto voluto o finirà con il rivelarsi un boomerang.
Aggiornamento al 30 luglio. Nella piazza del municipio di Bussoleno c’é la folla delle grandi occasioni: centinaia di No Tav, dalla valle e da Torino per respingere al mittente l’accusa di “terrorismo” e dimostrare che le iniziative delle procura non spaventano il movimento.