Lo scorso 8 gennaio l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani per i trattamenti inumani e degradanti inflitti ad alcuni detenuti rinchiusi nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza. Questi prigionieri erano stati obbligati a condividere con altri carcerati una cella di 9 metri quadrati, senza acqua calda e priva di una decente illuminazione.
La cifra di 14.000 euro è il prezzo fissato dalla corte per le torture subite dai detenuti.
Ma non solo. I giudici hanno stabilito l’obbligo per l’Italia di porre rimedio al sofraffollamento carcerario entro un anno. Il governo italiano, già numerose volte nel mirino della corte, ha immediatamente fatto ricorso. Il ricorso è stato respinto lo scorso 27 maggio.
Questa decisione apre la possibilità che tanti altri detenuti si appellino alla corte, oltre ad obbligare l’Italia a porre fine alle terribili condizioni di vita nelle carceri del Bel Paese.
Nei giorni immediatamente successivi al respingimento del ricorso parlamentari di quasi tutti gli schieramenti, nonché lo stesso ministro della giustizia Cancellieri, fecero dichiarazioni altisonanti. Dichiarazioni che stridevano con il silenzio e l’immobilità di tutte le forze politiche istituzionali di fronte ad una situazione che dura ormai da anni. Dichiarazioni rimaste lettera morta, perché l’estensione degli arresti domiciliari voluta da Cancellieri è stata una mera misura balneare per sopire i clamori dopo la condanna di Strasburgo.
Era sin da allora evidente che solo un’immediata amnistia potrebbe ridurre per qualche tempo il sovraffollamento. Poi, piano piano si tornerebbe all’emergenza. L’amnistia o l’indulto sarebbero solo una boccata d’aria prima della prossima crisi. Sono bastati meno di sei anni per riempire nuovamente all’inverosimile le carceri svuotate dall’indulto del 2006.
Leggi carcerogene come la Fini-Giovanardi sulle droghe, la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Cirielli sulla recidiva hanno contribuito a chiudere le porte delle prigioni alle spalle di migliaia di persone. Se si tiene conto che i reati più frequentemente perseguiti nel nostro paese sono quelli contro il patrimonio e questi reati sono puniti spesso in modo più grave di quelli contro la persona, si ha l’esatta dimensione della natura intrinsecamente classista del codice penale italiano.
Il messaggio di Giorgio Napolitano alle Camere dell’otto ottobre ha riaperto il dibattito politico sulle carceri, mettendo per la prima volta all’ordine del giorno la questione dell’amnistia e dell’indulto.
Sullo sfondo le polemiche di chi crede che i tempi scelti dal presidente della Repubblica coincidano con la condanna definitiva di Berlusconi e il rischio che il Cavaliere debba scontare, sia pure ai domiciliari o ai servizi sociali, la pena che gli è stata inflitta.
D’altro canto i corpi ammassati, torturati, schiacciati in ogni buco dei 64 mila prigionieri che affollano le galere del Bel Paese sono una questione che solo l’ottuso giustizialismo a Cinque Stelle può ignorare.
Sebbene un’amnistia imposta dal basso avrebbe un sapore meno agre, tuttavia la possibilità concreta che qualcuno possa scivolare fuori da quella immensa discarica sociale sarebbe comunque un fatto positivo.
Ascolta la diretta fatta dall’info di radio Blackout con Francesco di “bello come una prigione che brucia”.