La morte di 359 migranti al largo di Lampedusa ha riaperto il dibattito sulle leggi che stabiliscono le regole per l’ingresso legale di lavoratori stranieri nel nostro paese. Il primo ministro Letta e il suo vice, nonché ministro dell’interno Alfano, hanno recitato bene la parte del poliziotto buono e di quello cattivo.
Il 22 ottobre, nel corso di un’audizione parlamentare, Letta ha parlato dell’Europa che smarrirebbe le proprie origini se non fosse capace di accogliere profughi, rifugiati ed immigrati. Alfano gli ha fatto eco, ribadendo che in tempi di crisi la priorità è garantire un futuro agli italiani. In questo modo i due hanno accontentato gli umori del proprio elettorato. Nei fatti tuttavia entrambi chiederanno agli altri paesi europei maggiori risorse per l’accoglienza e maggiore impegno nel pattugliamento dei mari, affinché nessuno abbia più la malagrazia di annegare nelle nostre acque territoriali. A questo si aggiunge l’obiettivo di rinforzare gli accordi già esistenti con i paesi della sponda sud del Mediterraneo, perché gestiscano in loco il contrasto e le repressione dell’immigrazione. L’indice è puntato soprattutto contro la Libia, dove il frantumarsi dello Stato in una miriade di poteri territoriali determinati dal prevalere di questa quella milizia rende poco meno facile l’applicazioni degli accordi bilaterali sottoscritti da Prodi e Berlusconi con il regime di Muammar Gheddafi. Nonostante queste falle le galere libiche per immigrati, luoghi di tortura, strupro e compra vendita di ostaggi umani, sono piene di immigrati, soprattutto eritrei. Eritrei come i morti di Lampedusa, eritrei come gli scampati che non hanno potuto assistere la funerale al quale il governo italiano ha invitato i rappresentanti di quello eritreo, lo stesso da cui fuggono quelli che rischiano la vita sui barconi.
La Bossi- Fini non è, nè è mai stata, in discussione.
Questa legge è una fabbrica di clandestini, poiché, imponendo il contratto di lavoro come condizione all’ottenimento del permesso di soggiorno, di fatto, visto che nessuno viene assunto al buio in un paese lontano, fa sì che tutti, o quasi, entrino illegalmente, lavorando in nero, finché, a caro prezzo e per pochi fortunati, un decreto flussi non permette di fingere un ingresso legale nel paese in cui si vive già da anni. In questo modo i padroni hanno ottenuto manodopera a basso costo, ricattabile e licenziabile a piacimento.
Per capire meglio l’origine, gli sviluppi e l’applicazione concreta di queste norme razziste, abbiamo sentito l’avvocato Gianluca Vitale, da molti anni in prima fila nella difesa degli immigrati senza carte, che finiscono imbrigliati nelle rete della Bossi-Fini. O, meglio, della Turco-Napolitano-Bossi-Fini.
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