Spesso nei movimenti sociali – ma non solo – emerge la tendenza a considerare l’anarchismo una sorta di democrazia radicale. Niente di meno vero, perché l’anarchismo si definisce nel rigetto di ogni delega istituzionale e nel rifiuto del principio di maggioranza come criterio decisionale.
Sin dalla propria costituzione l’anarchismo vive in opposizione alla nascente democrazia, di cui denuncia il carattere intrisecamente autoritario basato su un’uguaglianza formale tra uomini divisi da un divario di classe inscritto nelle costituzioni liberali, che consentono la proprietà privata dei mezzi di produzione.
In tempi in cui sempre meno forte è la spinta ad una trasformazione radicale, nei movimenti sociali si sono definiti concetti come quello di democrazia partecipativa, che taluni considerano contigui all’anarchismo, una sorta di anarchia ragionevole, conscia dell’intrascendibilità dell’ordine esistente e invischiata nel tentativo di aprire spazi di libertà, forzando la democrazia a mantenere le proprie promesse di accesso egualitario alla facoltà decisionale.
Spesso i fautori della democrazia partecipata non sono che l’ennesima trasfigurazione di una sinistra orfana di partito che prepara il prossimo cartello elettorale o, in subordine, si organizza come lobby, come gruppo di pressione sulle istituzioni, cui promette il controllo dei movimenti. Che sinora queste operazioni abbiano avuto gambe molto corte non deve confortare, perché la loro influenza può comunque contribuire a indebolire l’autonomia dei movimenti, seminando l’illusione di una possibile rivoluzione pacifica, che cambi tutto senza spaccare nulla.
Lo spazio che acquisiscono è direttamente proporzionale alla difficoltà di radicare un immaginario ed una pratica che mirino a spezzare l’ordine politico e sociale.
La versione parodistica della partecipazione diretta è andata in scena con l’abbuffata elettorale grillina e segna l’emergere di fermenti populisti di destra come quello da cui è scaturito il lancio della giornata del 9 dicembre. La retorica del popolo, come quella del cittadino eletto, in un mixer tra giacobinismo, fascismo rivoluzionario e leghismo della prima ora, rischia di accelerare processi autoritari nel segno dell’antipolitica, favoriti dal rapido decomporsi del quadro istituzionale.
Ricostruire la polis fuori e contro i municipi, moltiplicare le esperienze di riappropriazione dal basso, di autogestione reale è l’unica prospettiva concreta per i movimenti che oggi crescono nell’opposizione alla grandi opere, nella lotta per i servizi e le tutele, contro la servitù del lavoro salariato.
Certo non sarà facile.
Anarres ne ha discusso con Massimo Varengo.
Ascolta la lunga chiacchierata