Ieri al Senato è stato approvato l’emendamento presentato dal governo per limitare il reato di clandestinità ai casi di recidiva. Il ddl dovrà tornare alla Camera per l’approvazione definitiva.
Il provvedimento prevede che l’immigrazione clandestina non sia più reato e torni a essere un illecito amministrativo: mantiene tuttavia valenza penale ogni violazione di provvedimenti amministrativi emessi in materia di immigrazione (come rientrare in Italia una volta espulsi).
A illustrare l’emendamento al Senato è stato il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri. “Da un lato il reato viene abrogato – ha spiegato – dall’altro viene trasformato in illecito amministrativo”. Ciò significa “che chi per la prima volta” entra clandestinamente nel nostro paese “non verrà sottoposto a procedimento penale, ma verrà espulso”. Ma, se rientrasse, a quel punto “commetterebbe reato”.
Il reato di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato” era stato introdotto nel Testo Unico sull’immigrazione con l’approvazione del “pacchetto sicurezza” (legge n. 94 del 2009). In origine comportava la reclusione da un minimo di un anno ad un massimo di cinque. Questa legge rimase nell’ordinamento ben oltre il 24 dicembre 2010, quando entrò in vigore la “direttiva rimpatri”, la legge quadro dell’UE, sottoscritta anche dall’Italia, che è incompatibile con il reato di clandestinità. Per lunghi mesi i tribunali italiani hanno continuato a emettere condanne riempiendo le carceri di immigrati senza permesso di soggiorno.
Quando il governo si rassegnò a cancellare il carcere per i clandestini “recidivi”, mantenne tuttavia la contravvenzione da cinque a diecimila euro per chi, violando un ordine di rimpatrio, si fosse rimasto ugualmente nel nostro paese.
Vale la pena rilevare che il pagamento non estingueva il reato, che si poteva cancellare solo andandosene spontanemente.
Va da se che nessun immigrato si è mai curato molto di questa norma: perché pagare se in ogni caso si rischiava la deportazione coatta?
Se la Camera confermerà il voto del Senato la contravvenzione verrà fatta solo ai recidivi, a chi deciderà di restare in Italia, dopo il decreto di espulsione.
La cancellazione del reato di clandestinità è certo un gesto di forte rilevanza simbolica, ma, nei fatti, poco cambierà se non verrà cancellata la Turco-Napolitano Bossi-Fini, la legge che rende impossibile entrare nel nostro paese per cercarsi un lavoro, la legge che ha reso stabile la clandestinità, offrendo ai padroni lavoratori sempre sotto pressione, perchè costitutivamente fuorilegge.
Va da se che le gabbie normative, sono lo specchio delle relazioni sociali. Le leggi ultrarepressive sono servite ad alimentare l’isteria securitaria che ha fatto il successo della destra di governo. Da sempre gli imprenditori chiedono maggiore flessibilità, mani libere, nessun laccio che impedisca di licenziare. Paradossalmente un approccio eccessivamente disciplinare alla regolamentazione dell’ingresso in Italia di lavoratori stranieri, diventa a sua volta un intralcio. Un governo più “confindustriale” come quello guidato da Enrico Letta non poteva certo mantenere un impianto le cui ragioni sono essenzialmente ideologiche.
Ai padroni servono lavoratori ricattabili, non periferie in fiamme e rivolte nei CIE.
Ascolta l’intervista realizzata dall’info di radio blackout ad Mauro Straino, avvocato milanese da sempre in prima fila nella difesa degli immigrati in lotta.