Sabato 8 marzo. Sulla cancellata di ingresso della sede della sezione ANPI “Renato Martorelli” di via Poggio è stato appeso nella notte uno striscione con la scritta “No Tav liberi”, accanto è stata issata una bandiera No Tav.
Un anonimo reporter di passaggio nel cuore di Barriera di Milano ha scattato qualche foto.
Facile intuire le ragioni di un gesto che parla da solo. Il giorno prima proprio da quella sezione ANPI era partita l’iniziativa di una serata in cui si mescolavano la mafia, il terrorismo e il movimento No Tav. Ospiti d’onore l’ex Procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli e l’ex parlamentare del Partito Comunista Italiano Dino Sanlorenzo. Un esponente di punta del “nuovo corso” della sinistra dopo la caduta del muro di Berlino e un anziano stalinista.
Quella stessa sera circa 150 No Tav hanno fatto un presidio rumoroso a pochi metri dalla sala di via Leoncavallo, dove, circondati da camionette e poliziotti in tenuta antisommossa, parlavano Caselli e Sanlorenzo.
Il presidio è poi diventato corteo nelle vie limitrofe.
L’arresto di quattro No Tav in carcere da tre mesi con l’accusa di “attentato con finalità di terrorismo” è stato il sigillo finale della carriera di Caselli. Un curriculum vitae che culmina con la missione di attaccare con inaudita violenza il movimento No Tav. La facciata del “democratico” che persegue i “fatti” e non le idee si infrange nel mare di carte processuali che dimostrano un fatto solo: la volontà di trasformare usuali pratiche di lotta in reati gravissimi. L’accusa di terrorismo per un compressore danneggiato è solo la punta di un iceberg. Nella neolingua di Caselli e dei suoi tutto cambia di segno: un blocco stradale si trasforma in violenza privata, un banale sabotaggio diventa terrorismo, la resistenza ad uno sgombero un atto eversivo.
Di Sanlorenzo è sufficiente ricordare il famigerato questionario anonimo, che invitava alla delazione per scovare i “terroristi”. Erano gli anni Settanta e, con il pretesto della lotta armata, quelli come Sanlorenzo tentarono ogni mezzo, persino quelli più vili, per tappare la bocca ai tantissimi, specie nelle periferie operaie come Barriera, lottavano per un mondo senza padroni, sfruttamento, dominio.
Pochi lo sanno. Proprio negli anni Settanta il circolo Risorgimento di via Poggio, lo stesso che ospita la sezione ANPI “Renato Martorelli”, venne commissariato dai vertici del Partito Comunista.
Oggi come trent’anni fa offre l’immagine di un centro sociale frequentato soprattutto da anziani, tra caffè, vino, gioco delle bocce.
Nessuno avrebbe oggi potrebbe immaginare che in quel circolo sonnacchioso, dove si ritrovavano anche tanti partigiani, negli anni Settanta qualcuno avesse osato discutere la linea del Partito, sostenendo che le insorgenze sociali di quegli anni fossero legate con un filo rosso alla guerriglia partigiana.
Ogni 25 aprile proprio da quel circolo un drappello sempre più sparuto di anziani con la banda e i gagliardetti esce per un breve giro nelle strade vicine.
A volte chi conserva la memoria è il primo a tradirla.
L’auspicio è che la bandiera No Tav offerta all’ANPI questa notte, una bandiera di lotta e di Resistenza, ricordi che la lotta partigiana era lotta di ribelli, fuorilegge, banditi.
Chi ricorda oggi la Barriera delle barricate elettrificate del 1917, quella degli scioperi di mesi, le casse di mutuo appoggio e i bambini mandati in campagna in una rete di solidarietà che permetteva ai loro genitori di resistere meglio sapendoli nutriti?
Chi ricorda gli operai della Fiat Ricambi – adesso di chiama IVECO – che bloccavano le strade, la produzione in scioperi senza regole né lacci?
Chi ricorda che mettere qualcosa nell’ingranaggio, sabotare la produzione, magari solo per riposare un’oretta e fare due chiacchiere, era normale in lungo Stura Lazio?
Chi ricorda una Barriera dove la gente, anche quella che non sapeva di barricate e sabotaggi, sapeva però sempre da che parte stare?
Lo ricordano quelli che oggi, in questo quartiere, in Val Susa, in ogni dove, quella memoria la fanno propria nella lotta.