Si è chiusa con 13 richieste di rinvio a giudizio l’inchiesta giudiziaria sugli appalti al Cie e al Cara di Gradisca d’Isonzo. Il gup ha fissato per il prossimo 2 luglio l’udienza preliminare per tredici imputati.
Tra cui il viceprefetto Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo della Prefettura Telesio Colafati accusati di falso materiale e ideologico in atti pubblici. I vertici di Connecting people, il consorzio siciliano che gestisce dal 2008 i due centri, vanno alla sbarra per associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e a inadempienze di pubbliche forniture.
Gli imputati sono Giuseppe Scozzari presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Connecting people, Ettore Orazio Micalizzi vice presidente del Cda, Vittorio Isoldi direttore di Connecting people, il direttore del Cie Giovanni Scardina, e quella del CARA Gloria Savoia, Mauro Maurino componente del Cda e Giuseppe Vito Accardo sindaco supplente.
I vertici del “sinistro” consorzio avrebbero ottenuto somme ben più alte di quelle dovute sulla gestione degli immigrati. Avrebbero presentato fatture dove era gonfiato il numero di immigrati presenti al CARA e al CIE. Scozzari e la sua allegra compagnia si sarebbero intascato persino i soldi, che in base al capitolato d’appalto, erano destinati per l’acquisto di carte telefoniche e acqua.
Al vice prefetto Allegretto e al funzionario della Prefettura viene contestato il fatto di non aver verificato la congruità delle fatture presentate e di averle vistate autorizzandone il pagamento.
Si va dal 2008 al 2011, i tre anni in cui Connecting people ha gestito il centro di via Udine dopo aver vinto l’appalto. La gestione è poi proseguita ed è tuttora affidata al consorzio siciliano perché la gara d’appalto lo scorso anno non è stata aggiudicata per un vizio formale che ha escluso la vincitrice, una cordata guidata dalla francese Gepsa.
Sin qui i fatti.
Non possiamo dire di essere stupiti. Chi sgomita per gestire una struttura detentiva, lo fa per i soldi. In questi anni i professionisti dell’umanitario di soldi se ne sono messi in tasca tantissimi. Secondo calcoli del Ministero dell’Interno la macchina delle espulsioni costa intorno ai 18 milioni di euro l’anno, parte dei quali presi dalle tasce dei lavoratori immigrati con permesso di soggiorno, gente uscita dalla clandestinità che potrebbe tornarci se resta senza lavoro.
Uno dei paradossi feroci del paese degli italiani brava gente.
Difficile dimenticare l’arrogante sicumera di Mauro Maurino, responsabile di Connecting People a Torino, che, nel 2009 aveva tentato di aggiudicarsi la gestione del CIE di corso Brunelleschi.
Ad un gruppo di antirazzisti che gli avevano occupato l’ufficio, dichiarò che, la loro gestione, una gestione di “sinistra”, sarebbe stata sicuramente preferibile a quella della Croce Rossa. Mentre parlava agitava il treccione a dred e si lisciava il costosissimo maglione etnico.
Da quel momento divenne uno degli interlocutori preferiti del giornalista di nera del quotidiano “La Stampa”, Massimo Numa, che lo intervistava in occasione di rivolte al CIE o iniziative degli antirazzisti.
D’altra parte, ai responsabili della Croce Rossa, in prima fila il responsabile di allora, il colonnello e poi generale Antonio Baldacci, era stato imposto il silenzio stampa. Decisamente poco edificanti furono le dichiarazioni rilasciate dopo la morte di Fathi Nejl, un tunisino lasciato morire nel CIE, nonostante fosse gravemente malato.
Quest’anno la gara per l’assegnazione del CIE di Torino è stata disertata persino dalla Croce Rossa: troppo basso il guadagno, in una struttura sull’orlo del collasso, semidistrutta dalle continue rivolte.
Nel frattempo proseguono in sordina i due maxi processi contro 67 antirazzisti torinesi. Per chi fosse interessato le prossime udienze si terranno mercoledì 9 e venerdì 11 aprile.
Il CIE di Gradisca è chiuso da mesi, nonostante l’area blu, distrutta nel 2011, sia stata ristrutturata. Sebbene le altre sezioni del Centro restino in attesa di lavori che tardano ad iniziare, tuttavia la mancata riapertura parziale è certamente dovuta a ragioni politiche, non ultima, dopo l’inchiesta che ha travolto Connecting People, quella di trovare un gestore che accetti le basi d’asta al ribasso che hanno caratterizzato le gare di appalto dell’ultimo periodo in tutt’Italia.
Ancora aperto è il CIE di Trapani Milo. A metà gennaio il Prefetto Falco ne aveva annunciato la chiusura per ristrutturazione. Il Centro trapanese, considerato una struttura modello, ha infatti il record di fughe, le ultime solo tre giorni fa. Per tappare i buchi del colabrodo di contrada Milo sono previsti nuovi e più sofisticati sistemi di sorveglianza, muri più alti e filo spinato.
Durante la chiusura Falco avrebbe provato a dipanare la matassa ingarbugliata della gestione del centro. Cacciata la famigerata cooperativa Oasi, la cui gestione del CIE di Modena, ne aveva accelerato la chiusura, Falco si era ritrovato la patata bollente della cooperativa palermitana Glicine, che pur essendosi aggiudicata l’appalto, aveva deciso di rinunciare.
I giochi della politica e degli affari hanno rimescolato le carte: il centro trapanese è rimasto aperto, senza gestore. I reclusi, cui mancava persino la carta igienica, hanno dato vita a nuove proteste, rendendo ancora incandescente il clima.
Secondo alcuni la Croce Rossa potrebbe aggiudicarsi presto la gestione del Centro.
Anarres ne ha parlato con un antirazzista trapanese, Alberto La Via. Ne è scaturita una chiacchierata a tutto campo, che è stata anche occasione per fare il punto sulle lotte dei richiedenti asilo nei tre CARA del trapanese.