Gli OPG dipendono dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dentro ci sono secondini e psichiatri, le regole sono pressoché identiche a quelle delle carceri.
Ospitano circa 1500 uomini e donne abbandonati a loro stessi, in condizioni di degrado disumano.
Vi sono imprigionate persone fuoriuscite dal sistema giudiziario classico per essere state giudicate incapaci d’intendere e volere, e, quindi, non imputabili in seguito ad una perizia psichiatrica che ne avrebbe stabilito la “pericolosità sociale”.
Dal 1975 li chiamano Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ma il nome non ha cambiato la cosa. La legge Basaglia che ha chiuso i manicomi non ha toccato queste strutture a metà tra un manicomio ed un carcere: sono sorvegliati da secondini, gestiti da psichiatri.
Sono riservati ai “matti” che commettono reati e ai detenuti che il carcere ha fatto diventare “matti”. Spesso l’OPG viene usato per “punire” il detenuto che si ribella e decide di lottare.
La narrazione psichiatrica definisce lo status di chi perde ogni “diritto”, persino quelli che mantengono i carcerati, perche privo di ragione. Per chi commette un reato ma viene giudicato “matto” non sono previste pene ma “misure di sicurezza” che hanno come finalità la “difesa sociale”.
La durata della detenzione in OPG è indeterminata: viene revocata solo quando un magistrato, sulla base del parere di uno psichiatra, dichiara che è venuta meno la pericolosità sociale, un concetto intrinsecamente ambiguo, perché che si nutre delle paure che attraversano il corpo sociale, spesso segnate da un chiaro discrimine di classe.
Il malato-recluso non può mai sapere quando uscirà, solo il magistrato di sorveglianza, a sua discrezione, può decidere quando la pena avrà fine.
Spesso la reclusione negli OPG diventa una sorta di ergastolo bianco, di reclusione a vita: la durata della prigionia non ha alcuna attinenza con il reato per il quale si era originariamente perseguiti.
L’unica vera funzione dell’OPG è quella di discarica sociale dove gettare gli “indesiderabili”.
Nel 2010 la commissione sull’efficacia del Servizio Sanitario Nazionale effettuò un’inchiesta sul campo, che rese visibile, anche grazie ad un video girato all’interno degli OPG, la cruda realtà di queste prigioni. Il parlamento decretò che venissero chiuse entro il 31 marzo 2013. Il termine per la chiusura venne prorogato di un anno. Il primo aprile il presidente della Repubblica Napolitano ha firmato un secondo anno di proroga.
I 1500 corpi, privati della dignità di persone, costretti ad assumere psicofarmaci, spesso legati ai letti, secondo Napolitano, secondo il governo del rampante Renzi, possono aspettare.
Aspettare nello squallore di camerate luride, bagni indecenti, violenza diffusa delle guardie.
La chiusura degli OPG dovrebbe infatti coincidere con l’apertura di strutture più piccole, senza secondini, strutture più decorose.
Sebbene le associazioni e i gruppi che lottano contro gli abusi della psichiatria si battano per la chiusura immediata degli OPG, perché il superamento di ogni istituzione totale è comunque una vittoria, tuttavia i mini OPG che li potrebbero sostituire, sarebbero comunque manicomi. Serve infatti a poco chiudere gli OPG, se non si cancella la legge che li rende possibili. Nelle nuove strutture, più accoglienti, finirebbero sempre persone accusate, giudicate incapaci d’intendere e volere da un’arbitraria perizia psichiatrica. Poco importa se sono stati arrestati per piccoli reati: chi entra nel girone infernale della detenzione psichiatrica, sa che è entrato ma non sa se e quando uscirà.
Il meccanismo della “stecca”, ossia il potere degli psichiatri di prorogare all’infinito la detenzione, non cambierebbe.
I gruppi antipsichiatrici denunciano da tempo il rischio che i nuovi OPG, più “umani”, divengano il traino per un ritorno dei manicomi. Per tutti.
Ascolta la diretta con Robertino Barbieri di Psychoattiva dall’info di Blackout