A Roma la parata militare, rappresentazione scenica della potenza dello Stato, che rivendica il proprio monopolio legale dell’uso della violenza, da qualche anno è tornata a segnare il due giugno, il giorno in cui l’attuale forma statuale celebra se stessa.
Una scelta, che ci narra del cuore violento e gerarchico di ogni Stato. La Repubblica nata dalla lotta al fascismo e l’occupazione nazista, dopo la guerra voluta da Mussolini a fianco della Germania nazista, si festeggia tra cannoni, burattini in divisa e frecce tricolori, mostrando in tutta la sua nudità il potere statale.
La parata militare è anche l’immagine di un paese ininterrottamente in guerra dal 1990. Un fatto che, grazie al modificarsi del paradigma bellico, viene percepito come normale. Normale come la polizia, normale come i rastrellamenti in strada, normale come le fabbriche che producono bombardieri.
Un gruppo di antimilitaristi di Torino, Valli di Lanzo e dal resto del Piemonte ha dato vita ad una due giorni antimilitarista a Caselle torinese, dove sorge il più grande degli stabilimenti dell’Alenia, che, dopo aver prodotto per anni i Tornado, produce gli Eurofighter e i primi cassoni alari per gli F35, che vengono assemblati nello stabilimento costruito all’interno dell’aeroporto militare di Cameri, a pochi chilometri da Novara.
Martedì 27 maggio nel palatenda di corso Torino si è svolta un’assemblea introdotta da Alberto Perino e Valter Bovolenta del Movimento contro gli F35.
Alberto ha ricordato la lotta degli operai e degli antimilitaristi di Condove per la riconversione da militare a civile di parte della produzione delle Officine Moncenisio. Una lotta esemplare ma poco nota, che dimostra che il ricatto occupazionale può essere superato da una lotta che ha visto protagonisti i lavoratori stessi.
Valter ha ricostruito la lotta contro gli F35, allargando il discorso ad un’analisi attenta dei movimenti contro la guerra e sulle prospettive di un’azione antimilitarista che trova nell’opposizione a basi militari e industrie di morte il proprio fulcro potente.
Lunedì due giugno l’appuntamento era in piazza Boschiassi nel centro di Caselle. Dopo un presidio e un’assemblea in cui si sono succeduti gli interventi di antimilitaristi di Torino, delle Valli di Lanzo, di Novara, Alessandria, e dalla provincia di Varese, da dove sono venuti alcuni lavoratori della Aermacchi in lotta per la riconversione e contro i nuovi addestratori per il volo, che l’Italia sta vendendo ad Israele.
Il presidio si è poi trasformato in un corteo che ha attraversato il centro della cittadina, sostando a lungo al mercato, per concludersi alla rotonda che sulla provinciale accoglie chi arriva da Torino. Su questa rotonda campeggia un aereo militare costruito dall’Alenia, che in questo modo proietta la sua ombra su tutta la città.
La rotonda invasa dagli antimilitaristi è diventata la scena di un’azione comunicativa. Abiti insanguinati, fantocci, scarpe hanno dato corpo ad una scena di guerra. Due sagone di bare sono state issate alle ali dell’aereo, mentre fumogeni e rumori di bombe restituivano un pizzico di realtà alla presenza di un aereo militare lungo la strada del paese.
Una vergogna da cancellare.
Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Valter del Movimento No F35.
Qui potete vedere una galleria di foto della giornata
Di seguito il testo del volantino distribuito per le strade di Caselle e al mercato.
L’Italia è in guerra da molti anni. Ne parlano solo quando un ben pagato professionista ci lascia la pelle: un po’ di retorica su interventi umanitari e democrazia, Napolitano che saluta la salma, una bella pensione a coniugi e figli.
È una guerra su più fronti, che si coniuga nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma parla il lessico feroce dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione.
Gli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Lo rivela l’armamentario propagandistico che le sostiene. Le questioni sociali, coniugate sapientemente in termini di ordine pubblico, sono il perno dell’intera operazione.
Hanno applicato nel nostro paese teorie e tattiche sperimentate dalla Somalia all’Afganistan.
La separazione tra guerra e ordine pubblico, tra esercito e polizia è sempre più labile. L’alibi della salvaguardia dei civili è una menzogna mal mascherata di fronte all’evidenza che le principali vittime ed obiettivi delle guerre moderne sono proprio i civili. Civili bombardati, affamati, controllati, inquisiti, stuprati, derubati: è quotidiana cronaca di guerra. Poi arriva la “ricostruzione”, la creazione di uno stato democratico fantoccio delle truppe occupanti, l’organizzazione di esercito, polizia, magistratura leali ai nuovi padroni. È la prosecuzione con altri mezzi della guerra guerreggiata, obiettivo e insieme strumento di guerra.
La guerra è diventata filantropia planetaria, le bombe, l’occupazione militare, i rastrellamenti ne sono lo strumento. Quando il militare diventa poliziotto ed entrambi sono anche operatori umanitari il gioco è fatto.
L’opposizione alla guerra, che in altri anni fa ha riempito le piazze di folle oceaniche, si è lentamente esaurita, come le bandiere arcobaleno, che il sole e la pioggia hanno stinto e lacerato sui balconi delle case.
La mera testimonianza, la rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza concreta.
Negli ultimi anni l’opposizione alla guerra qualche volta è riuscita a saldarsi con l’opposizione al militarismo: il movimento No F35 a Novara, i No Tav che contrastano l’occupazione militare in Val Susa, i no Muos che si battono contro le antenne assassine a Niscemi. Anche nelle strade delle nostre città, dove controllo militare e repressione delle insorgenze sociali sono la ricetta universale, c’é chi non accetta di vivere da schiavo.
Le radici di tutte le guerre sono nelle industrie che sorgono a pochi passi dalle nostre case.
Chi si oppone alla guerra, senza opporsi alle produzioni di morte, fa testimonianza ma non impedisce i massacri.
L’Alenia è uno dei gioielli di Finmeccanica, il colosso armiero italiano.
La “missione” dell’Alenia è fare aerei. I velivoli militari sono il suo fiore all’occhiello. Nello stabilimento di Caselle Torinese hanno costruito gli Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri made in Europe, e gli AMX. Le ali degli F35, della statunitense Loockeed Martin, sono costruite ed assemblati dall’Alenia.
Un business milionario. Un business di morte.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.
Mettiamo sabbia nel motore del militarismo!
Antimilitaristi di Torino, Valli di Lanzo e del resto del Piemonte
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