Sabato 7 giugno. Alle nove e mezza un centinaio di manifestanti sono già presenti in piazza Santa Rita. Il presidio si trova dal lato opposto della chiesa, davanti alla quale si trova un furgone di polizia, due di carabinieri e qualche macchina dei vigili urbani. Tra questi e i manifestanti striscia una squadra della digos. Uno di loro fa le foto.
Tra i manifestanti qualcuno inizia a distribuire volantini, altri invece iniziano a sudare. Nessuna nuvola ad opporsi al sole. Verso le dieci, forse per il caldo, qualcuno avrà detto che vede le stelle. In realtà erano le cinque stelle di Grillo su una tenda che tre pentastellati provavano ad assemblare di fianco agli antifascisti. In pochi minuti le stelle si sono allontanate. Nessuna nuvola, niente stelle, solo il sole.
Intorno alle dieci e mezza parte il corteo in corso Orbassano. In più di duecento si dirigono verso corso Sebastopoli dove entrano nel cuore del mercato. Si va piano verso corso Agnelli. I commercianti non si deconcentrano, sono attenti ai loro affari. Magari qualcuno non si accorge neanche del corteo. Altri invece sembrano attenti, chiedono volantini, sono curiosi. I loro clienti sono attenti ai prezzi, qualcuno mentre aspetta il resto allunga lo sguardo oltre le bancarelle per capire cosa sta succedendo. E quando capiscono il motivo del corteo questi rispondono, spesso con rabbia: “Avete ragione”, “i fasci non ci devono essere”, “è vergognoso quello che hanno fatto ad Andrea”.
Prima di uscire dal mercato, vengono letti alcuni volantini distribuiti fino allora. Qualcuno legge forte: “Oggi siamo qui per affermare che le strade e le piazze sono luoghi in cui non c’è spazio per chi passa le serate a cercare il nemico da accoltellare, in nome di un’ideologia e uno stile di vita votati all’odio per il diverso, ma luoghi in cui ribadire valori quali l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessismo”. E poi : “I fascisti che usano i coltelli non sono che la punta di un iceberg. Nella parte più solida del blocco di ghiaccio troviamo le tante formazioni della destra istituzionale, che in questi anni hanno contribuito ad alimentare la rinascita del nazionalismo, approvando leggi feroci contro immigrati, profughi, oppositori sociali. Sono gli stessi che hanno ridato fiato al militarismo, alla logica securitaria, alla militarizzazione delle frontiere e dei territori”.
Si riparte sul controviale di corso Agnelli nella direzione dello stadio. Al microfono interviene una signora che abita nel quartiere. Parla dell’ingiustizia e della prepotenza delle forze dell’ordine che lasciano impuniti gli atteggiamenti violenti nei confronti delle persone e degli animali più deboli. Subito due scritte sul muro più vicino: “il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alle crudeltà” e, accanto, “Morte al fascio”.
Si gira a destra in via Boston, una parallela di cso Sebastopoli. La musica si sente forte tra gli alti palazzi signorili del quartiere. Nei balconi escono alcuni bambini che sorridono, fanno con la mano. Alcuni nonni dietro le tende guardano con sospetto e ascoltano i versi che risuonano: “non c’è sbirro non c’è fascio / che ci possa piegar mai. E con le camicie nere / un sol fascio noi faremo / sulla piazza del paese / un bel fuoco accenderemo.” Il corteo fa una sosta di pochi minuti davanti al palazzo dove si presume che abiti un giovane naziskin.
Si arriva in via Gorizia e tra un intervento e l’altro si esce di nuovo in corso Orbassano. I manifestanti entrano nel cortile della biblioteca civica Villa Amoretti. Finalmente ombra per tutti, mentre al turet c’è già coda per un po’ di acqua fresca. E’ quasi l’una e mezza.
Di seguito il volantino della FAT distribuito al corteo.
Fascisti a Torino. Coltelli, manganelli e tricolori
Andrea, un ragazzo di 27 anni sale in metropolitana. E’ la tarda serata di sabato 31 maggio. Sei giovanissimi naziskin lo circondano, lo insultano e infine lo lasciano a terra in un lago di sangue. Ha il polmone perforato: per tutto il giorno successivo la prognosi rimane riservata. Supera il momento critico: se la caverà con una lunga degenza all’ospedale.
Solo la fortuna ha impedito che questa volta ci scappasse il morto.
I naziskin che hanno tentato di uccidere Andrea sono noti da diverso tempo per minacce, insulti, intimidazioni, aggressioni. Sono gli eredi di una cultura di morte, sopraffazione, gerarchia, sono i figli rabbiosi delle periferie dove è sempre più difficile arrivare a fine mese, sempre più difficile pensare un futuro. La chiusura identitaria, la rinascita di un nazionalismo feroce, portano ad identificare il nemico nell’immigrato povero, nell’omosessuale, nell’anarchico, nell’occupante di case. Chiunque ecceda la misura di un ordine immaginario diventa nemico. Nemico da colpire, ferire, uccidere.
A Torino, in tanti quartieri, vivere è più difficile che in passato: non è solo questione dei soldi che mancano, del fitto da pagare e delle bollette che scadono. Il lavoro non c’è: quando c’é è sempre più nero, pericoloso, precario.
C’è un disagio diffuso che non sa più farsi percorso di lotta, c’é latente la rabbia verso i tanti immigrati africani, magrebini, cinesi, rumeni, peruviani che vivono la città e l’hanno cambiata. Si fatica a riconoscere in chi è arrivato da lontano e parla un’altra lingua, il compagno di una lotta che è sempre la stessa, perché sempre uguali sono i padroni, perché sempre uguale è lo sfruttamento, sempre uguale l’oppressione.
Anche chi fino a ieri aveva conosciuto un certo benessere, si trova senza tutele, nell’incertezza del domani: lo spettro della povertà allarga le proprie ali anche lontano dalle periferie, dove campare la vita non è mai stato facile.
Da anni comitati spontanei animati da leghisti e fascisti soffiano sul fuoco, chiedono più polizia, alimentando l’illusione che, con più repressione, controlli, militari nelle strade, la vita possa migliorare.
Questo è il terreno nel quale crescono e si alimentano i fascisti di ogni colore, questo è il terreno dove, finita l’illusione grillina, è nata la rivolta “forcona”, tra garrire di tricolori e il sogno di un governo militare che garantisca la pulizia da una classe politica corrotta.
I fascisti che usano i coltelli non sono che la punta di un iceberg. Nella parte più solida del blocco di ghiaccio troviamo le tante formazioni della destra istituzionale, che in questi anni hanno contribuito ad alimentare la rinascita del nazionalismo, approvando leggi feroci contro immigrati, profughi, oppositori sociali. Sono gli stessi che hanno ridato fiato al militarismo, alla logica securitaria, alla militarizzazione delle frontiere e dei territori.
I naziskin con il coltello possono essere affrontati solo parlando l’unica lingua che sanno capire, senza tuttavia indulgere nella tentazione estetizzante di mimarne il machismo, l’esaltazione della forza, il gusto per la violenza, che deve restare una dura sgradevole necessità.
Il fascismo che cresce nei quartieri si alimenta nella paura, trova espressione nelle leggi liberticide, può tuttavia essere soffocato nella concretezza delle lotte. Le lotte per la casa, contro lo sfruttamento, la precarietà, il lavoro che uccide. Nella consapevolezza che i padroni e i governanti non guardano al colore della pelle ma a quello dei soldi.
Nella consapevolezza che l’altra faccia dei fascisti con il coltello sono i poliziotti con il manganello, i giudici che chiudono in galera, espellono, bandiscono chi lotta. La repressione colpisce chi costruisce percorsi di libertà, mutuo appoggio, uguaglianza.
Parole vuote nella retorica della democrazia, pietre pesanti di un tempo altro nella pratica dei libertari di ogni dove.
Corteo antifascista. Un resoconto
Posted in antifascismo, Inform/Azioni, torino.
– 9 Giugno 2014
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