20 arresti e numerosi indagati tra gli imprenditori legati alle n’drine in Piemonte. Gente con le mani in pasta nella gestione dei rifiuti pericolosi dei cantieri.
L’operazione dell’antimafia prende il nome da Chiusa San Michele, il paese della Val Susa dove si trova una cava sulla quale aveva messo le mani l’imprenditore Toro, uno degli arrestati del 1 luglio.
I quotidiani cittadini minimizzano, dichiarando che l’operazione “San Michele” avrebbe impedito l’infiltrazione delle ‘ndrine nel cantiere Tav di Chiomonte.
Peccato che Giovanni Toro avesse lavorato nel cantiere Tav di Chiomonte sin dall’ottobre del 2011: la sua ditta aveva gettato asfalto (poco per risparmiare) per costruire la strada utilizzata dalle truppe di occupazione nel cantiere/fortino della Maddalena.
Suo anche l’appalto per i lavori alla galleria autostradale di Prapontin sulla A32 della scorsa estate.
Giovanni Toro è il padre di Nadia, amministratore e socio unico della Toro srl. La colata di asfalto nel cantiere del tunnel geognostico di Chiomonte era stata affidata alla Toro srl dai capofila dell’appalto. Chi erano questi galantuomini? Niente di meno che i responsabili di due imprese locali di cui si era occupata già un’altra operazione contro le n’drine, l’inchiesta Minotauro. Agli stessi imprenditori erano stati affidati i lavori di recinzione del cantiere.
Uno di loro è Ferdinando Lazzaro, oggi tra gli indagati a piede libero dell’operazione San Michele, ieri osannato come esempio dell’imprenditoria valsusina, con tanto di strette di mano ministeriali.
Nulla di cui stupirsi: il sistema delle grandi opere inutili e dannose ha la propria ragion d’essere nel drenaggio di denaro pubblico a fini privati. Ditte prive di certificato antimafia come la Toro srl, che asfaltano il cantiere per la polizia sono uno degli ingranaggi di questa macchina ben oliata.
Una domanda sorge spontanea: come mai una magistratura poco attenta alle ripetute denunce di parte No Tav sull’intreccio tra Tav e mafie, oggi apre un capitolo, che certamente i responsabili della Torino Lyon avrebbero preferito mantenere chiuso?
Forse qualche equilibrio sta saltando?
Vi proponiamo di seguito l’articolo di Giovanni Tizian, uscito sull’Espresso del 1 luglio, che ben svela gli interessi dei clan calabresi per la grande opera.
«Ma guardate un attimo voi che potete… su Rai Tre di Torino, che hanno inquadrato i macchinari lì a Chiomonte.. lì alla Maddalena della Tav… ci siamo asfaltati». Giovanni Toro è l’imprenditore che ha lavorato nei cantieri militarizzati dell’Alta velocità Torino-Lione. Ce l’ha fatta, e nella telefonata racconta che davanti alle telecamere dei giornalisti, lui e gli operai, si sono dovuti nascondere per non comparire. Toro infatti non poteva starci in quel cantiere. Eppure c’era. E lavorava. Per gli investigatori è la conferma che la ‘ndrangheta è interessata alla grande opera.
I particolari emergono dall’ultima inchiesta sulla mafia calabrese in Piemonte. I Carabinieri del Ros, coordinati dalla distrettuale antimafia di Torino, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 20 persone indagate per associazione mafiosa, concorso esterno e smaltimento illecito di rifiuti. La ‘ndrina bloccata dal blitz è quella dei Greco di San Mauro Marchesato, un paesone in provincia di Crotone. Una cellula criminale da tempo operativa in Piemonte e denominata, nel gergo delle organizzazioni calabresi, “’ndrina distaccata di San Mauro Marchesato”.
Giovanni Toro, una delle figure centrali dell’indagine, entra nell’affare alta velocità grazie a Ferdinando Lazzaro, che aveva ottenuto in appalto dal committente Ltf-Lione Torino i lavori di preparazione del cantiere, dove si doveva svolgere lo scavo del mega tunnel tanto contestato dalla popolazione della Val di Susa. Inizialmente la ditta di Lazzaro si chiama Italcoge. Con questa ottiene la commessa. Poi però Italcoge fallisce. Ma «Lazzaro continuava di fatto a occuparsi del cantiere avvalendosi proprio di Toro», scrive il giudice delle indagini preliminare che ha firmato l’ordinanza.
L’imprenditore in pratica crea una nuova società, la Italcostruzioni, e prosegue senza problemi i lavori a Chiomonte: «Italcostruzioni acquisiva i mezzi, le autorizzazioni di legge nonché il subentro nel consorzio Valsusa», che raccoglie gran parte delle aziende impegnate nel grande appalto pubblico. Ma c’è di più. Lazzaro negli atti è indicato come uno degli interlocutori principali di Rfi, Rete ferroviaria italiana, e Ltf. «Alcune conversazioni intercettate dimostravano sia l’influenza esercitata da Lazzaro in seno al consorzio Valsusa, che di fatto considerava di sua proprietà, sia il ruolo di unico interlocutore della committente Ltf», scrivono i magistrati. «Prendiamo tutto noi, Nando», si sente in una delle intercettazioni. E Lazzaro conferma: «Prendiamo tutto noi». Tra gennaio e marzo 2012 poi il titolare di Italcostruzioni cerca «di fare entrare Toro all’interno del Consorzio Valsusa».
Mentre Giovanni Toro però è indagato per concorso esterno con il clan crotonese, Lazzaro è soltanto inquisito per smaltimento illecito dei rifiuti di cantiere. Scarti, hanno assicurato gli inquirenti in conferenza stampa, che non c’entrano con il sito di Chiomonte. Ma su questo le verifiche dovranno continuare. Anche perché in un passaggio dell’ordinanza Toro fa riferimento a dei rifiuti da smaltire reimpiegandoli nei lavori Tav.
È stato Ferdinando Lazzaro quindi, secondo le indagini, a portare Toro nel cantiere più contestato d’Italia. Anche se a Toro mancavano le autorizzazioni. Infatti, Toro, agitato perché non sapeva da dove far passare i suoi camion, privi delle necessarie autorizzazioni, si sentiva rispondere da Lazzaro che per i permessi ci avrebbe pensato lui: «Lo faccio attraverso la Prefettura, gli dico che dobbiamo asfaltare, è urgente, che dobbiamo passare per forza da lì… mi devi mandare le targhe per email o per fax come vuoi». E, in altri dialoghi, a Toro viene chiesto di inviare in cantiere una «pala gommata».
L’imprenditore sotto inchiesta per connivenza con la ‘ndrangheta avrebbe parlato con un certo Elia di Ltf. «Toro riferiva di aver ricevuto da Elia la richiesta di posare 12 centimetri di asfalto poiché sarebbero stati effettuati dei controlli con i carotaggi». Questo è motivo di discussione tra Lazzaro e Toro in quanto i patti erano diversi. Lo strato di asfalto doveva essere di 8. Inoltre emerge dalla stessa telefonata che sul fondo erano stati stesi soltanto due centimetri di materiale e l’asfalto avrebbe avuto difficoltà ad aderire: «Tu speri che si attaccano 2 centimetri di fresato? Una bella minchia». Lazzaro però lo tranquillizza, rassicurandolo sul fatto che erano d’accordo con Elia che ne bastavano dieci di centimetri perché «i carotaggi sarebbero stati fatti solo nei punti dove c’era più materiale».
Dialoghi che mostrano l’interesse pieno di Toro nei lavori Tav. Il fatto che emerge, e che dovrebbe far riflettere sulla sicurezza del cantiere, è che gli investigatori non hanno trovato traccia di contratti registrati tra Toro, Italcostruzioni o Ltf. Il che vuol dire, secondo gli inquirenti, che l’azienda ha lavorato sotto gli occhi dei militari che presidiavano il sito senza un pezzo di carta che certificasse la sua presenza. Tra le oltre 900 pagine di ordinanza di custodia cautelare c’è anche un commento di Toro sulla qualità della posa dell’asfalto, secondo lui fatta «con modalità approssimative».
Toro punta anche su un altro imprenditore. Fabrizio Odetto. Anche lui pronto per lavorare a Chiomonte. La proposta è fargli utilizzare la sede della Toro come base operativa dell’azienda di Odetto, impegnata nel cantiere. L’imprenditore piemontese viene fermato però dagli arresti. Infatti nel 2013 è finito in carcere per altre vicende di droga ed estorsioni. Così finisce pure la sua esperienza valsusina.
Nelle carte dell’inchiesta ci sono altri riferimenti all’interesse della ‘ndrangheta per l’alta velocità. In Calabria, a San Mauro Marchiesato, madre patria della ‘ndrina finita sotto indagine, vengono registrate numerose riunioni e incontri preparatori per tuffarsi nella grande torta Tav. La ‘ndrangheta vuole correre veloce. E guadagnare molto. Questa è anche la filosofia di Toro che in una delle telefonate dice: «Ricordati queste parole… che ce la mangiamo io e te la torta dell’alta velocità».
Delle imprese Toro e Lazzaro però c’era anche traccia nei documenti sequestrati ai militanti No Tav. Bollati come terroristi che accumulavano materiale chissà per quale scopo criminale. Oggi invece la storia sembra un po’ diversa: facevano lavoro di controinformazione.