La guerra civile nelle regioni orientali dell’Ucraina si sta giocando sulla contrapposizione tra opposti nazionalismi, l’uno con espliciti richiami all’identità ucraina declinata secondo ai canoni tipici dell’estrema destra, l’altro con chiari riferimenti alla resistenza antinazista russa durante la seconda guerra mondiale.
Narrazioni false, utili però a dare forza a legami identitari, che da queste narrazioni traggono la linfa simbolica che giustifica una guerra che si basa su identità escludenti.
In alcuni casi il volersi russi o ucriani non dipende né dalla lingua né dalla cultura, ma da una scelta di campo.
Giacomo, un compagno che fa giornalismo free lance in aree di guerra, ha trovato ospitalità da due giovani ucraini di famiglia e lingua russa, che temono l’autoritarismo putiniano più dei fascisti di Pravi Sector.
Dalla sua testimonianza emerge una realtà più composita e difficile da decodificare di quella presentata dai media main stream italiani.
Ascolta la diretta con Giacomo realizzata dall’info di Blackout
Sullo stesso argomento vale la pena riportare gli stralci più significativi di un articolo di Matteo Tacconi sul Manifesto del 25 giugno:
“Chi sono i ribelli dell’est ucraino? Per Kiev sono terroristi secessionisti manovrati da Mosca, per i media russi forze di autodifesa che resistono ai golpisti della Majdan. Definizioni schematiche di un universo ben più articolato. In linea con lo scenario ucraino nel suo complesso.
La destra dell’est
In attesa di capire se il piano di pace di Poroshenko non è un foglio di carta, si può partire da destra. L’insurrezione a Donetsk, come nella vicina Lugansk, registra la presenza di personaggi riconducibili all’estremismo russo e russo-ucraino.
Uno è Pavel Gubarev. Trentunenne, imprenditore, ha una storia di militanza in Unità nazionale russa, formazione con venature xenofobe. È stato lui, a marzo, in concomitanza con lo scoppio della crisi di Crimea, a guidare la presa dei palazzi, fregiandosi poi della carica di governatore della Repubblica di Donetsk. Arrestato, è stato rilasciato a maggio. In quei giorni sono state attive altre sigle radicali, tra cui l’Unione eurasiatica della gioventù, braccio giovanile di Eurasia, movimento presieduto dall’accademico russo Aleksandr Dugin, uomo dal provato pensiero radicale.
Da poco ha invitato a parlare alla Lomonosov, l’università moscovita dove insegna, Gabor Vona. È il numero uno di Jobbik, la destra ungherese più becera. Sempre a proposito di destre internazionali s’è venuto a sapere che i polacchi di Falanga e gli italiani di Millennium hanno inviato loro rappresentanti a Donetsk. Il che rivela che la famiglia nera europea s’è schierata dall’una e dall’altra parte della barricata ucraina. Non soltanto a Kiev, con Pravyi Sektor e le altre bande della Majdan. Nell’est ucraino un’altra personalità che si colloca a destra è Alexander Borodai, un russo, il capo del governo della Repubblica di Donetsk. A Mosca Borodai ha la fama di uno dei più noti interpreti dell’ultranazionalismo e commenta spesso sulla rivista Zavtra, cassa di risonanza di questi ambienti, che ha recentemente pubblicato una sorta di manifesto della Nuova Russia.
È il nome di quella che dovrebbe essere un’entità statuale composta dalle aree di Donetsk e Lugansk, possibilmente allargata alla Transnistria e a Odessa. Il discorso sulla Nuova Russia allarga il campo dell’analisi, svincolandola dal solo tema, limitante, della collocazione politica. In ballo ci sono sentimenti, persone in carne e ossa. Alcune delle quali percepiscono il rapporto tra Ucraina e Russia come una cosa intima. Ci si arruola nelle milizie filorusse anche in nome di quest’idea, che trova ampi riscontri nella storia, nella cultura e nella letteratura. Sulla Majdan è accaduta grosso modo la stessa cosa.
La rivolta ha avuto una sua importante pulsione storica e culturale, identificabile nel pensiero nazionale-nazionalista ucraino, forgiato nell’ovest del paese e proteso a separare la vicenda biografica ucraina da quella russa.
Nell’insurrezione dell’est influiscono, restando sul piano della storia, anche i retaggi della seconda guerra mondiale. In questo senso la Maidan e la sua componente ultranazionalista ha assunto il sapore di una replica a scoppio ritardato delle attività dispiegate nell’Ucraina occidentale dai miliziani di Stepan Bandera, fautori di uno stato ucraino etnico. Contrassero un’alleanza tattica con Hitler in funzione antisovietica e antipolacca. Oggi la figura di Bandera spacca il paese. I circoli nazionalisti lo elevano al rango di eroe. L’est, sensibile alla Russia e alla tradizione della grande guerra patriottica, lo bolla come un nazista.”