Il più giovane e dinamico capo del governo italiano (dopo Benito Mussolini) corre molto ma inciampa spesso.
In un paio di giorni ha dovuto incassare la bocciatura della confcommercio, che ha giudicato nullo l’effetto del taglio dell’Irpef per la ripresa dei consumi, e la delusione dei quattromila insegnanti che hanno visto sfumare la pensione mentre erano in dirittura d’arrivo.
Nonostante i frequenti scivoloni Renzi, tra un colpo di fiducia, una tagliola e una brasatura di massa degli emendamenti sta spazzando via la seconda camera elettiva dello Stato, prepara un’ennesima legge elettorale con l’asso pigliatutto per consolidare la democratura italiana.
Nonostante le statistiche lo diano in lieve calo di popolarità, riesce ancora a rappresentare il nuovo che avanza, mascherando il taglio di migliaia di posti di lavoro nella pubblica amministrazione per lotta alla burocrazia.
Ovviamente la tenuta si vedrà nel tempo. In un paese dove amicizie e clientele resistono nei decenni Renzi rischia di perdere per strada alcuni preziosi segmenti della sua base.
Il taglio di metà dei distacchi sindacali nel pubblico impiego – se ha alimentato la fama del leader che non guarda in faccia nessuno – ha allungato la fila degli scontenti.
Di oggi la notizia che la Cgil ha deciso di sottoporre alla Commissione europea la riforma del lavoro. Camusso non ha proclamato un’ora di sciopero contro le misure del governo, ma gioca la carta europea per punzecchiare il Primo Ministro.
Renzi dal canto suo imita Peron e cerca di instaurare una relazione diretta con il “popolo” tagliando i ponti con gli organismi di intermediazione sociale come il sindacato (post) concertativo e la stessa Confindustria.
L’info di blackout ne ha parlato con Cosimo Scarinzi della Cub.
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Anarres ha discusso con Pietro Stara del populismo renziano, che più che in Mussolini, pare specchiarsi nell’argentino Juan Peron.