Non si è ancora spenta l’eco della sentenza della Cassazione che ha cancellato la condanna per gli imprenditori svizzeri, che hanno usato come carne da macello migliaia di operai. Solo a Casale Monferrato sono morte tremila persone. Tra loro anche familiari dei lavoratori, bambini che hanno giocato in quella polvere grigia ed assassina.
Torturati ed uccisi. Il mesotelioma pleurico è il tumore che colpisce gli esposti all’amianto: le fibre ti entrano dentro e prima o poi cominciano a rosicchiarti la vita. Muori soffocato.
La sentenza di Roma fa soffrire, perché ha macinato le speranze di tanta gente comune, che aveva perso una persona cara e credeva nel lieto fine. Un lieto fine che non c’é stato: una dura lezione sulla democrazia, sul capitalismo, sul gioco truccato delle aule di tribunale.
Non c’é scampo. Se il tavolo è truccato non resta che rovesciarlo.
Oggi i giornali hanno diffuso la notizia delle promesse del primo ministro Renzi alla gente del comitato di Casale: se ci sarà un processo bis, lo Stato si costituirà parte civile. Un’altra manciata di illusioni per la gente di Casale e per i tanti esposti all’amianto?
Alberto Prunetti ha seguito il processo. Il suo libro “Amianto. Una storia operaia” racconta una storia che gli ha segnato la vita. L’amianto ha ucciso suo padre. Non aveva ancora sessant’anni. Tanti lavoratori sono morti alla stessa età, dopo una vita di lavoro.
L’amianto ucciderà ancora: secondo i medici il picco delle morti deve ancora arrivare. L’ultima vittima di Casale è una ragazza di 28 anni, che ha respirato la morte nell’età dei giochi.
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A caldo, subito dopo la sentenza, sull’Internazionale è comparso un suo articolo che vi proponiamo di seguito.
“Siete quelli dell’amianto? Andate al Palazzaccio domattina? In bocca al lupo, allora”.
Ci avevano avvertito, i romani.
“In bocca al lupo”. Da prendere come augurio di buona sorte ma forse anche alla lettera, come pericolo di fronte al potere intimidatorio della giustizia.
Ci avevano avvertiti ma il lupo ci ha mostrato i denti mentre la giustizia, che abita un palazzo simile a un labirinto, si faceva vedere da lontano e poi scompariva subito.
Impressionandoci. Noi, figli di operai, abituati a calpestare umili pavimenti. Vedove di lavoratori, mondine diventate casalinghe e poi vedove trasformate da un destino amaro in attiviste. Signore anziane, con le stesse rughe delle Madres de Plaza de Mayo, lo stesso dolore in petto e la stessa ansia di giustizia. Quella giustizia che ha fatto capolino e poi è sparita subito, “in bocca al lupo”, in qualche corridoio bordato di marmo.
Il cuore si placava solo uscendo dal palazzo, quando trovavi i brasiliani, arrivati per aprire una vertenza nel loro paese; gli inglesi, che a Manchester registrano sei casi di mesotelioma alla settimana e hanno le scuole infestate di amianto; e poi i francesi, i belgi, gli olandesi e anche due giapponesi e un argentino. Tutti familiari di vittime dell’amianto, di quella formidabile macchina di ricchezza e morte che dispensa ai ricchi la prima e il resto ai poveri.
Una sentenza pre-scritta. Peccato che prescrivendo la sentenza hanno condannato noi. Condannati a una memoria senza giustizia, alla derisione del potente, alla beffa della Dea cieca con la bilancia in mano. Al lavoro di Sisifo di tornare a scrivere le nostre storie, la nostre ingiustizie, ogni volta da capo, col fegato che si fa amaro.
La sentenza è prescritta ma anche domani a Casale qualcuno si sveglierà con un colpo di tosse e il dolore ai reni. Qualcuno sputerà e un altro morirà, dopo aver distribuito un volantino contro la polvere, come si fa da quelle parti, con dignità e gli occhi lucidi. Gli stessi occhi lucidi di chi stava accanto a me al processo, ascoltando la sentenza. Sentenza prescritta. Non assolto, il reato c’è. Ma prescritto. Anche se ne ho visti che in secondo grado a Torino volantinavano contro l’Eternit e non sono riusciti a arrivare vivi, ieri, in Cassazione.
Si può prescrivere allora anche la morte di domani? Anche quella di oggi? È quasi peggio che avessero detto che il fatto non sussiste, almeno nel loro mondo al contrario. Diciamocelo anche noi, diamo tregua al cuore: non sono morti a migliaia, non è successo davvero. Magari posso inventarmi con la penna un mondo in cui i morti della Eternit tornano a casa stasera, perché in fondo non sono mica morti, sono solo stati prescritti.
E allora me li immagino quei vecchi operai, i nostri vecchi. A fare l’orto, a bere un bicchiere di barbera, a volantinare contro le multinazionali, fino all’ultimo respiro. Nel mondo dove si dà la vita vera. In quel mondo che forse sta solo nei nostri cuori o nei nostri sogni, in quel mondo che non è di questo mondo c’è giustizia, finalmente. Ma non si dà vita vera nella vita falsa e qui oggi tutto ha il sapore amaro della falsità, della beffa, della morte e dell’ingiustizia.
Per questo scrivo per non prescrivere, per non dimenticare, per non ucciderli d’ingiustizia. Non scrivo per contar frottole. Sono morti e non hanno giustizia. E con questo sapore amaro in bocca, bisogna ricominciare la lotta contro i mulini a vento. Contro l’ingiustizia, fino all’ultimo respiro.”