Il senato italiano ha approvato ieri il job act. In strada la polizia caricava studenti e sindacati di base che tentavano di avvicinarsi al Senato, dove la nuova legge è passata con il sostegno dell’intero Partito Democratico.
Venerdì 5 dicembre, nell’anniversario della strage alla Thyssen, un ampio cartello di organizzazioni politiche e sindacali si è dato appuntamento in piazza Madama Cristina sin dalle 17.
La notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007 sette operai della ThyssenKrupp di Torino bruciano vivi. Lo stabilimento Thyssen doveva essere chiuso: i padroni decisero che gli operai potevano rischiare le loro vite pur di risparmiare le proprie spese per la sicurezza.
Lo scorso anno sette operai cinesi sono bruciati nella fabbrica/dormitorio dove vivevano e lavoravano a Prato. Schiavi sottopagati e invisibili emergono dal buio solo con la fiammata che gli ha portato via la vita.
La strage alla Thyssen colpì l’opinione pubblica per il numero e per l’orrore di quelle morti, prolungate da strazianti agonie. Ne furono investite la coscienze troppo spesso intorpidite dalla propaganda padronale e governativa che sostiene che non vi è contraddizione fra l’interesse delle aziende e quelli dei lavoratori. Tutti sulla stessa barca. Qualcuno rema e qualcuno guadagna seduto nella cabina di comando. A volte il mare grosso ruba la vita di qualcuno.
Le morti sul lavoro sono pane quotidiano, pane amaro che si mangia in silenzio. Le tragedie di Prato e della Thyssen sono diverse solo perché tanti sono stati uccisi tutti insieme, ma enorme è numero di morti, mutilati, feriti sul lavoro, perché continua è la strage di lavoratori in tutti i settori della produzione, dai cantieri alla fabbriche, dall’agricoltura ai trasporti.
Oggi, con il job act, il governo, con il pieno sostegno del padronato, rafforza ancora di più il dispotismo aziendale.
Non è difficile capire cosa comporterà questa legge per la sicurezza sui posti di lavoro. Chi pretenderà di far valere il diritto alla sicurezza, alla vita, alla salute rischierà il licenziamento e dovrà accontentarsi di un pugno di soldi.
Il peggio potrebbe ancora venire. L’immagine dell’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz è tanto famasa da logorarsi. La dicitura “il lavoro rende liberi” non era solo una feroce irrisione verso uomini, donne e bambini destinati a morire, ma era la rappresentazione più che efficace di una parte – certo non secondaria – della macchina concentrazionaria.
Il lavoro forzato venne impiegato massicciamente dal governo tedesco durante la seconda guerra mondiale. I prigionieri più giovani, sani e forti venivano avviati alla produzione in fabbrica in condizioni spaventose. Inutile dire che chi non moriva di stenti e malattie finiva nelle camere a gas.
Le testimonianze pubblicate negli anni ci mostrano come questi lavoratori e lavoratrici fossero la dimostrazione inequivoca dell’intima natura del capitalismo, il suo sogno oggi inesprimibile ma mai sopito di avere a disposizione un’infinità di schiavi asserviti che lavorano gratis, costano quasi nulla e possono essere costantemente sostituiti. Gli attuali padroni della ThyssenKrupp sono i degni eredi di quei Krupp in prima fila nell’appoggiare il nazismo. I Krupp come i Siemens e tanti altri meno noti e godettero ampiamente del vantaggio di avere a disposizione manodopera a nessun prezzo motivata a lavorare a morte dalla speranza di poter continuare a vivere.
Realizzarono il sogno di tanta parte dei padroni. Di ieri e di oggi.
L’info di Blackout ne ha parlato con Cosimo Scarinzi, che è convinto che la lotta sia solo all’inizio. Il job act per il momento è solo un foglio in bianco, sul quale il governo dovrà scrivere i decreti attuativi. Renzi ha promesso i decreti delegati per la fine dell’anno, quindi la partita potrebbe essere ancora aperta.