Sentenze, isteria mediatica, resistenza
Il prossimo 27 gennaio sarà pronunciata la sentenza al processo contro 53 attivisti No Tav accusati per la resistenza allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena e per l’assedio al primo embrione del cantiere. Da allora sono trascorsi quasi tre anni e mezzo. Tre anni di lotta per un movimento che non si arrende, nonostante il moltiplicarsi dei processi e la crescente violenza di polizia.
Le richieste delle due PM che hanno sostituito Padalino e Rinaudo nella fase conclusiva del processo sono molto dure. Carla Quaglino ed Emanuela Pedrotta hanno chiesto sino a sei anni di reclusione per attivisti, accusati di aver scagliato sassi, tirato giacche, mosso una stampella, bloccato una strada.
Questo processo ha un grande valore simbolico, perché alla sbarra è l’intero movimento No Tav.
Durante questo dibattimento a tappe forzate nell’aula bunker delle Vallette si sono viste le immagini di No Tav gonfiati di botte, mentre sono a terra inermi, si è ascoltata la voce di un poliziotto che urla al suo collega. “Sparagli addosso a quel bastardo”. L’altro esegue, sparando i candelotti sui manifestanti.
Nell’aula bunker delle Vallette è andata in scena la democrazia reale, che colpisce i propri nemici, fuori da ogni finzione di tutela universale,.
I tribunali sono come teatri, dove fondali e scene contano come dialoghi e trame. I ruoli sono codificati e ciascuno è la propria maschera. L’aula/prigione costruita a fianco del carcere, il posto dei grandi processi alla mafia e alle formazioni armate degli anni Settanta, è la location giusta.
I processi celebrati lì sono in se uno stigma per chi finisce alla sbarra. In aula bunker stanno solo i cattivi. I processi di questi anni sono stati costruiti sulle personalità di chi finisce alla sbarra, perché noto alla digos, la polizia politica.
Il movimento No Tav si prepara alla sentenza con numerose iniziative che vanno da un primo presidio a Bussoleno sino al rito della passeggiata notturna in Clarea, passando per un’assemblea popolare che discuterà la proposta dei comitati No Tav di un grande corteo a Torino per il 21 febbraio.
Il momento è molto delicato. Prima o poi il governo potrebbe rompere gli indugi e spedire truppe per garantire l’apertura dei primi cantieri in bassa valle. Sul versante francese è stato aperto il cantiere per il tunnel di base. Il dibattito sulle strategie di lotta, non sempre del tutto sereno in queste ultime settimane, urge. Nella lunga opposizione alla nuova linea tra Torino e Lyon tanti sono stati gli snodi cruciali, quest’anno potrebbero essercene altri.
Una sfida che il movimento No Tav non può permettersi di perdere, perché quello che non è riuscito alla polizia ed alla magistratura potrebbe farlo la rassegnazione. Una delle condizioni per vincere è crederlo possibile.
Facciamo un passo indietro.
Lo scorso 17 dicembre la corte d’assise ha assolto Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò dall’accusa di attentato con finalità di terrorismo. Tutti e quattro sono stati condannati per uso di armi da guerra, danneggiamento con incendio e resistenza a tre anni e mezzo di reclusione. Pochi giorni dopo il giudice ha concesso loro un’attenuazione delle misure cautelari, disponendo i domiciliari. L’accusa di terrorismo estesa dai PM Padalino e Rinaudo a Graziano, Francesco e Lucio anche loro in carcere per il sabotaggio del compressore, è stata cancellata dal tribunale del riesame. Il processo contro di loro comincerà il prossimo 16 marzo.
La strategia della Procura è stata clamorosamente sconfitta. La lunga campagna di sostegno del movimento, che si è articolata sia in grandi manifestazioni e azioni dirette sia nel coinvolgimento di settori dell’opinione pubblica “liberale”, che si sono schierati contro la torsione del diritto sperimentata dalla Procura, hanno dato i loro frutti.
Tacere sulla repressione è un errore che questa volta il movimento non ha commesso, mostrandosi saldo nel sostegno ai propri prigionieri e capace di ampliare la denuncia di operazioni che rischiano di tritare un altro pezzetto della libertà di tutti.
La reazione della lobby Si Tav non si è fatta attendere. Il pretesto di un sabotaggio alle linee ad alta velocità nei pressi di Bologna ha dato la stura ad una campagna mediatica e politica durissima. Il ministro delle infrastrutture Lupi, che già nelle prime ore dopo la sentenza, aveva dichiarato che, per lui, quelli del compressore erano terroristi, si è scatenato. Anche l’ex procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, il regista dell’intera operazione, ha contestato la decisione della corte d’assise.
Si è giunti a equiparare i cavi incendiati a Bologna con le stragi ferroviarie di trent’anni fa. Una narrazione avvelenata, volgare, giocata sulla fruizione rapida delle notizie che segna una comunicazione che ha il ritmo e lo stile dei videogiochi.
A peggiorare il tutto anche un ex magistrato noto per le proprie posizioni No Tav, che ha chiamato in causa il solito complotto dei “servizi”. Una salsa usata a sproposito per condire la pietanza sbagliata.
Il movimento, complice il clima natalizio o, forse, lo scarso entusiasmo di alcuni settori No Tav per i tempi, i luoghi e i modi del sabotaggio bolognese, ha mantenuto il silenzio di fronte alla violenza dell’attacco di Lupi e Caselli.
Un errore che ha lasciato spazio al moltiplicarsi delle illazioni, alle entrate a gamba tesa di chi non ha mai apprezzato il carattere popolare del movimento No Tav, vissuto come ostacolo al dispiegarsi di una radicalità astratta perché riservata a pochi eletti. (Nota: vedi link in fondo)
A quest’entrata a gamba tesa altri hanno risposto in modo caustico e con un fallaccio in area di rigore, che ha suscitato indignazione e secche proteste di diversi settori di movimento.
Complice la velocità della rete e l’attenzione morbosa dei media, le polemiche di fine anno si sono diffuse viralmente nel web ed hanno trovato spazio anche su qualche media main stream.
Spesso una slavina si gonfia da una piccola palla di neve, che sarebbe bastato ignorare perché si sciogliesse al sole di quest’inverno che ha il sapore della primavera.
Gli attacchi del ministro e dei media avrebbero meritato una risposta secca e dura, il chiacchiericcio iroso di chi non sa interloquire ma si limita a lanciare invettive ad un movimento che mantiene viva una resistenza non testimoniale al Tav e al mondo che rappresenta, non meritava un rigo.
Se poi la furia polemica induce a sorpassare i limiti della critica questo è un errore gravido di conseguenze. Non perché non fosse lecito criticare un’azione per opportunità e tempismo, ma una critica che si esprime con il linguaggio della condanna senza appello, chiude ogni spazio all’interlocuzione e porta ad un conflitto arduo da comporre.
Il movimento No Tav è tuttavia un movimento solido, capace di trarre insegnamento dagli scivoloni e di far ripartire un confronto a tutto campo sulle prospettive di una lotta possono perdere solo quelli che non vi prendono parte.
La nozione di azione diretta popolare non è uno slogan, ma il terreno nel quale si costruiscono le condizioni per una vittoria che possa durare.
I tempi sono maturi. La disaffezione nei confronti della politica istituzionale, pur diffusa, non si è mai realmente concretata in una diserzione dalle urne. Lo scorso anno ampi settori di movimento, compresa buona parte delle aree più radicali, si era impegnata nella campagna elettorale per le liste civiche vicine al movimento No Tav. Pochi mesi dopo le elezioni, sindaci ed amministratori eletti con i voti dei No Tav, si sono seduti al tavolo delle compensazioni. In questo modo l’uscita dall’osservatorio per la Torino Lyon è diventato un gesto poco più che simbolico.
La partita oggi più che mai si gioca nelle strade, nelle piazze, sui sentieri della lotta.
La sconfitta delle strategie della Procura è stato un buon punto segnato dai No Tav. La manifestazione di febbraio sarà un importante tassello nella crescita di un movimento che non lascia per strada nessuno ma rilancia per una primavera ed un’estate di lotta che viva nella saldatura con chi, puntando sull’azione diretta popolare, costruisce percorsi di autonomia dall’istituito dove il conflitto e l’autogestione si intrecciano, dando forza ad una critica che sa farsi utopia concreta.
L’importante non è fare la stessa strada, ma andare nella stessa direzione anche con strade diverse, per poi trovare le radure dove scambiarsi esperienze e proposte.
Occorre evitare la trappola del feticismo, nella convinzione che questa o quella strategia siano “in se” migliori di altre. L’unico criterio è quello dell’azione non delegata, della costruzione paziente del consenso intorno alle proposte, della sperimentazione di nuovi percorsi. Passo dopo passo. Insieme.
ma. ma.
Nota a piè di pagina.
In rete e in vari siti sono circolati vari documenti su questa vicenda.
Chi vuole li trova su finimondo.org, macerie.org, notav.info, infoaut…
Quest’articolo è comparso sull’ultimo numero del settimanale Umanità Nova