Qualche settimana fa una donna è stata stuprata dopo una serata nei bar di Borgo san Paolo. Aveva bevuto qualche bicchiere, preso qualche sostanza. Secondo chi stupra questo è un buon motivo per fare violenza, profittando della minore lucidità della donna che ha condiviso un bicchiere, magari una canna o una pasticca. Un pretesto per trasformare la violenza in consenso, un pretesto che trova un consenso sociale diffuso, tra i tanti che commentano dicendo “se l’è cercata”, “in fondo ci stava”, “è andata a casa sua”, “ci ha limonato tutta la sera”, “era vestita come una puttana”…
I tanti travestimenti di un approccio patriarcale duro a morire, che ritroviamo ogni giorno nella vita quotidiana di ogni donna.
Il sette marzo un corteo ha attraversato le strade di Borgo San Paolo, toccando mercati e bar, case occupate e piazze per sostenere con forza una libertà femminile che non vuole vestire i panni della “vittima” da tutelare, per divenire soggetto, che nell’autodifesa, nella solidarietà e nel mutuo appoggio rifugge la retorica securitaria costruita in nome delle donne.
Un bel corteo con tanti uomini, donne, bambini con tanti stancil, manifesti, slogan e cartelli ha costruito una giornata di lotta, fuori e contro le celebrazioni ritualizzate dell’otto marzo.
La manifestazione, indetta dalla neo costituita “assemblea antisessista” ha avuto una buona accoglienza nel quartiere.
La volontà di costruire relazioni sociali all’insegna della libertà e dell’uguaglianza non può prescindere da percorsi individuali, che oltre la differenza sessuale come disvalore, vadano oltre la biologia come una sorta di destino culturalmente imposto.
Di seguito stralci del volantino distribuito al corteo dall’assemblea antisessista:
“La violenza di genere spesso non viene riconosciuta (“Se l’è cercata”, “Cosa si aspettava”, “Ci stava”, “E’ suo marito”), perché la cultura patriarcale continua a pervadere la società in ogni suo aspetto, nutrendoci di immagini stereotipate che ostacolano pensieri e sentimenti di giustizia, di solidarietà e di empatia. Abusare di una donna in stato alterato di coscienza è una strategia sessista.
Negli ultimi tempi i centri antiviolenza di varie città denunciano l’uso delle così dette “droghe dello stupro” che causano amnesia e un aumento incontrollato della libido così la donna è più indifesa e tutti i presenti hanno l’impressione che lei ci stia. In questo modo non c’è più una relazione fra due persone, ma la donna diventa un corpo, un oggetto da usare, manipolare, sfruttare, dominare…questo non è sesso ma è stupro!
A chi frequenta e gestisce i locali diciamo che non bisogna stare attent* solo al rischio di risse, ma anche al rischio di molestie e stupro, è importante riconoscere anche in queste la violenza. Se pensate che siano fatti normali o che non siano gravi o che non siano affari vostri diventate anche voi complici.
Cominciamo a cambiare questa mentalità. Creiamo reti di solidarietà e una cultura dell’attenzione reciproca! Non pensare che siccome non sta capitando a te non ti riguardi. Noi donne vogliamo goderci la nostra libertà. Vogliamo uscire, viaggiare anche da sole, frequentare locali, divertirci come ci pare senza rischiare violenze o stupri. Le molestie e le violenze sono il prezzo che questa società ci fa pagare quando decidiamo di vivere liberamente?
Non siamo vittime ma donne capaci di reagire e di autodifendersi.
Denunciamo pubblicamente la violenza e spostiamo la vergogna sugli stupratori e su chi li legittima, perché sono loro che devono temere quello che pensa la gente e non le donne!”