Secondo i giudici della Corte Europea dei diritti dell’uomo, nella notte della Diaz, il 21 luglio 2010, è stato violato l’articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani sul “divieto di tortura e di trattamenti disumani o degradanti”.
Il 21 luglio 2001 si era chiuso il G8 di Genova: tre giorni di manifestazioni e scontri tra polizia e manifestanti, un manifestante ucciso dai carabinieri, circa mille feriti. Molti manifestanti erano tornati a casa. Altri, soprattutto gli stranieri, si erano fermati a Genova.
La memoria di quella notte rimarrà per sempre impressa nei corpi e nelle menti dei 93 uomini e donne che quella notte dormivano alla Diaz. L’irruzione della polizia e il pestaggio feroce che ne seguì, lasciò sgomenti anche i giornalisti mainstream che il mattino successivo entrarono nell’edificio. Sangue raggrumato, capelli contro gli stipiti, libri, zaini, abiti alla rinfusa: le tracce di una vera “macelleria messicana”.
I poliziotti che massacrarono quelli della Diaz non sono mai stati “scoperti”, i funzionari coinvolti in quell’operazione – come quelli della caserma delle torture a Bolzaneto – se la sono cavata con la prescrizione. Tutti, o quasi, hanno fatto folgoranti carriere. Il capo della polizia De Gennaro è oggi a capo di Finmeccanica, il colosso dell’industria bellica italiana.
La sentenza di ieri è stata pronunciata in seguito al ricorso presentato dal più anziano dei manifestanti della Diaz, all’epoca dei fatti aveva 62 anni, che si ritrovò con una gamba rotta, un braccio fracassato e lesioni ovunque.
Sebbene la sentenza della corte faccia propria la ricostruzione dei vari processi che segnava una secca divisione tra manifestanti dei blocchi giallo, blu e rosa e il blocco nero, indicato come unico responsabile degli eccessi della polizia, la sentenza della CEDU non manca di rilevare le caratteristiche strutturali delle violenze poliziesche in un paese dove l’impunità per le divise è del tutto normale.
Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Eugenio Losco, avvocato di Milano, in prima fila nel difendere gli attivisti dei movimenti sociali che restano impigliati nelle maglie della legge.