L’attacco dell’esercito del generale libico Haftar ad un mercantile turco che si dirigeva verso un porto del paese africano sancisce un salto di qualità nel conflitto iniziato con l’intervento occidentale e la morte del raiss Gheddafi nel 2011. Haftar, ufficiale di Gheddafi poi passato all’opposizione e risieduto a lungo negli Stati Uniti dove ha collaborato a lungo con la CIA ed il Dipartimento degli Esteri del paese americano, sostiene che la nave turca si dirigesse verso Derna, porto libico sotto il controllo dei salafiti proclamatisi alleati dell’Isis, eventualità che il governo e l’armatore turco smentiscono.
Dietro questo atto di aggressione c’è la guerra per procura che si muovono Turchia e Qatar i quali appoggiano i Fratelli Musulmani insediati al governo a Tripoli, e Arabia Saudita ed Egitto che fiancheggiano il governo uscito dalle elezioni libiche del 2012 e che si proclama laico ma soprattutto nemico dei Fratelli musulmani. L’Egitto, da parte sua ha cambiato radicalmente posizione dopo il colpo di stato che ha abbattuto il Presidente Morsi dei Fratelli Musulmani ed ha insediato al potere il generale Al Sisi, schieratosi con l’Arabia Saudita.
In altre parole l’azione di ieri potrebbe essere inquadrata dentro la guerra che le due coppie di potenze dell’area sunnita del mondo mussulmano mediorientale si stanno muovendo su più scacchieri in questo momento: Africa del Sahel, Libia e Siria. Più in generale si tratterebbe di un conflitto per l’egemonia nel mondo arabo in vista di uno scontro più generale con l’Iran, potenza emergente dell’area e stato in prudente ma deciso avvicinamento verso gli Stati Uniti.
Bisogna anche ricordare che Haftar ha agito probabilmente anche per impedire la costituzione di un governo di unità nazionale tra i tripolini filo-turchi (e qatarini) e il parlamento di Tobruk (amico di Egitto e sauditi). Il loro possibile riavvicinamento vorrebbe dire che i due blocchi sunniti hanno trovato un accordo che non potrebbe che escludere proprio Haftar che si è presentato come salvatore della patria e che affida alla vittoria militare le sue chance di controllare l’intero paese.
Non è da escludere nemmeno che il generale libico agisca per conto di Washington che, in pieno sganciamento dal Medio Oriente, non vede di buon occhio la formazione di un blocco sunnita (che avrebbe anche l’appoggio di Israele – si vedano i boatos su di un accordo tra il paese ebraico e Hamas ormai passata in quota saudita – perchè quest’alleanza sarebbe necessariamente diretta contro Teheran e questo porterebbe alla continuazione dell’instabilità nell’area.
Area dalla quale gli americani non vedono l’ora di sganciarsi come dimostrano le tensioni sempre più forti tra Washington da un lato e Israele e Arabia Saudita dall’altro. Il costo del mantenimento dell’intervento americano in Medio Oriente è sempre più alto e oggi, dopo lo sganciamento dal petrolio saudita, sempre meno giustificato per un’amministrazione poco condizionata dalla lobby petrolifera e da quella dell’industria delle armi, da sempre favorevoli all’alleanza con Ryad e Tel Aviv e alla presenza USA in Medio Oriente.
Non si deve dimenticare infine che il bombardamento del mercantile turco avviene all’indomani delle ritrovate velleità europee (a guida italiana) di intervento in Libia. Tali velleità si basano sull’ipotesi di una ritrovata unità nazionale libica e della fine delle ostilità tra Tobruk e Tripoli. Eventualità, come abbiamo visto, considerata assolutamente negativa tanto da Haftar che da Washington.