Il tentativo di assalto al Parlamento afgano messo in atto da un commando facente capo ai Taleban è l’ennesima riprova della situazione di caos sistemico nel quale il paese asiatico vive da quasi trentasei anni. La pretesa pacificazione americana che avrebbe permesso il ritiro (a partire dall’anno scorso…) delle truppe a stelle e strisce si è rivelato, con ogni evidenza, un fallimento.
Il governo afgano non riesce ad imporre la sua autorità sulla gran parte del paese mentre la guerriglia talebana si dimostra ogni giorno di più capace di penetrare anche nella capitale Kabul e di colpire i centri del potere e i quartieri dei nuovi ricchi legati al business degli aiuti occidentali.
Fuori da Kabul pochi centri importanti e poche strade sono effettivamente nelle mani del governo che deve peraltro affidarsi alle truppe occidentali per il necessario pattugliamento.
Tra queste ultime spicca il contingente italiano la cui presenza va rafforzandosi anche a causa della promessa fatta in questo senso dal premier Renzi ad Obama. Gli italiani svolgono sempre più il ruolo di truppe coloniali a servizio degli Stati Uniti in un teatro di guerra dove gli interessi spacciabili per “nazionali” sono pochi anche per i più accaniti sostenitori della compagine governativa. Da Herat le truppe italiane dovranno iniziare a essere presenti in un numero sempre maggiore di centri dell’Afganistan per sostituire le truppe USA che, sia pure in numero minore rispetto a quanto annunciato solo tre anni fa dal presidente statunitense, dovranno tornare a casa.
Le conseguenze? Staremo a vedere, ma la nostra convinzione è che la tregua non dichiarata tra il contingente italiano e i Taleban non potrà reggere a lungo nel nuovo scenario che si sta delineando.