Quattro anni. Quattro lunghi anni sono trascorsi dalle giornate della Maddalena, quando l’area destinata a diventare cantiere venne liberata. I giorni della Libera Repubblica finirono il 27 giugno: dopo ore di resistenza le truppe dello Stato sgomberarono l’area, obbligandoci alla fuga per i boschi della Ramat e per i sentieri verso Giaglione. Da quel giorno il tricolore ha sostituito il treno crociato.
Sono stati quattro anni di lotta contro l’occupazione militare, segnati da marce popolari e atti di sabotaggio, presidi e azioni notturne, proteste alle caserme, assedi agli alberghi e ristoranti che ospitano le truppe, blocchi di treni, strade e autostrade. A volte eravamo pochi altre volte tantissimi, ogni volta ciascuno era forte dell’appoggio degli altri.
La mano dello Stato ha colpito con estrema violenza. Nel 2005 il movimento aveva obbligato alla resa il governo. Un’onta che andava lavata ad ogni costo: nessun esecutivo può permettere che i cittadini credano di poter alzare la testa, costringendo lo Stato a fare marcia indietro.
Arresti, processi, condanne si sono abbattute su migliaia di No Tav. La mannaia della Procura di Torino è calata più volte sulle nostre teste.
L’ultimo anno è stato durissimo. Sebbene il movimento abbia reagito con intelligenza e coesione alle accuse di terrorismo, costruendo una campagna contro la repressione di grande efficacia, tuttavia ha segnato una battuta d’arresto sul piano delle lotte e, questione cruciale, della riflessione e del confronto sul futuro. Ne è conseguita la rarefazione, se non la sparizione, delle iniziative sparse sul territorio tra Torino e la Valsusa. L’unica presenza costante sono stati i presidi bisettimanali al cancello che a Chiomonte chiude strada dell’Avanà, una delle vie maestre per truppe e ditte collaborazioniste.
Non ci si può accontentare di resistere perché la questione vera è vincere, obbligare il governo a fare dietrofront, liberare le zone occupate, far crescere i percorsi di autonomia dall’istituito, ancora oggi ostaggio di persistenti illusioni elettorali.
L’offensiva mediatica dei nostri avversari ha costruito l’immagine falsa di un territorio pacificato a forza, piegato dalla repressione, ridotto al mero ruolo di testimone impotente dello scempio.
Era necessaria una risposta forte, chiara, popolare.
La manifestazione del 28 giugno nasce così.
Doveva essere ed è stata una giornata dell’orgoglio No Tav, una giornata in cui si dimostrava nella pratica che il movimento non era sconfitto, né impaurito, né sbandato.
Sapevamo bene che avrebbero vietato la circolazione nelle strade che, dalla statale 24, scendono verso il cancello della centrale Iren, come sapevamo che avrebbero dichiarato zona rossa sentieri e mulattiere.
Sapevamo che avrebbero piazzato jersey di ferro e cemento per chiudere le strade nei pressi del ponte sulla Dora in località Gravella. Abbiamo detto chiaro che non avremmo accattato blocchi e divieti.
Il 28 giugno l’alta Val Susa era vestita con i colori dell’estate. Un lungo serpentone è sceso lungo la statale 24 e, senza esitare ha imboccato la provinciale vietata dirigendosi verso i jersey. Le famiglie con bambini, gli anziani, chi non se la sentiva si è fermato al bivio per la Ramat, ma i più sono scesi, chi in prima fila, chi un poco più in là. Quando i primi manifestanti si sono avvicinati, è partito un fitto lancio di lacrimogeni che hanno reso l’aria irrespirabile per un lungo tratto di strada.
Poi il corteo si è ricompattato ed ha guadagnato il centro di Chiomonte, dove ci siamo rifocillati prima di imboccare via Roma, la strada che dal paese scende verso la Dora. Anche via Roma era vietata, anche qui, dopo il ponte, c’erano i jersey. Una lunga battitura, poi i jersey sono venuti giù tra fuochi d’artificio e slogan: la polizia ha sparato grandi quantità di gas nel bosco per investire i manifestanti anche durante la ritirata. Nel frattempo un gruppetto di No Tav ha guadato la Dora ed ha beffato la polizia violando l’area recintata infilandosi tra le vigne.
Il camion con l’amplificazione è stato fermato e due occupanti trattenuti in questura e denunciati, altri due No Tav sarebbero stati denunciati per resistenza aggravata.
I quotidiani del lunedì si sono scatenati, creando ad arte scenari improbabili di Black Bloc che si sarebbero staccati dal corteo, di divisioni tra buoni e cattivi ed altre logore favole. Chi ha coperto il volto voleva solo difendersi da occhi e telecamere della polizia, non dal nostro sguardo solidale, perché la scelta di violare i divieti e abbattere gli ostacoli era stata fatta da tutti noi in assemblea.
Non abbiamo inceppato la macchina dell’occupazione militare che stringe in una morsa un cantiere lontano chilometri. La nostra è stata un’azione simbolica. Un gesto di orgoglio, la dimostrazione pratica, che non ci siamo arresi né spaventati.
Un vero No Tav Pride.
Da oggi tuttavia sarà necessario riprendere i fili di un confronto a tutto campo, per creare le condizioni perché ancora una volta il governo sia obbligato alla resa. Se sapremo scegliere i nostri modi e i nostri luoghi potremo rendere ingovernabile il territorio. Ovunque.
Serviranno coraggio e intelligenza. Per liberare la Maddalena, per liberarci tutti.
(Quest’articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale umanità nova)
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