La psichiatria uccide
I manicomi sono stati chiusi negli anni Settanta, ma l’orrore psichiatrico non è finito. Gabbie chimiche, camicie di forza, persone legate al letto, elettroshock, lobotomia continuano a segnare le vite di chi finisce impigliato nelle reti della psichiatria. La fine delle prigioni dei matti non è stata la fine della follia, come categoria/catena da usare contro chi vive con disagio la propria vita.
Un disagio che sarebbe sciocco negare, ma è criminale imprigionare.
Eppure avviene ogni giorno con i TSO, i trattamenti sanitari obbligatori. Chi è folle è “fuori”. Fuori di testa, fuori dal consesso umano, fuori dalle regole, che formalmente ne tutelano l’integrità fisica e la libertà.
Ogni tanto qualcuno ci lascia la pelle. L’ultimo è stato Massimiliano Malzone, un pescatore di 39 anni di Agnone, ricoverato in TSO – trattamento sanitario obbligatorio – nel repartino dell’ospedale S. Argenio di Polla in Cilento.
La denuncia è della sorella Adele. Suo fratello in occasione di due precedenti ricoveri, nel 2010 e nel 2013, aveva telefonato alla famiglia ogni giorno. Questa volta nei 12 giorni di ricovero coatto ha chiamato solo l’ultimo giorno, chiedendo un avvocato. La telefonata si interrompe bruscamente. Massimiliano Malzone muore tre ore dopo. Durante il ricovero i medici negano le visite ai parenti.
Il medico che ha avvisato la famiglia della morte dell’uomo è tristemente noto. Prima di approdare alla struttura di S. Argenio lavorava nel repartino dell’ospedale di Vallo della Lucania, chiuso dopo la morte di un maestro elementare, l’anarchico Francesco Mastrogiovanni. Per quella morte i medici in servizio sono stati condannati a quattro anni per sequestro di persona, morte come conseguenza di altro reato e falso ideologico.
Il processo d’appello per quella vicenda si concluderà a settembre.
Il 31 luglio del 2009 Francesco Mastrogiovanni entra nel repartino psichiatrico dell’ospedale di Vallo della Lucania.
Ne uscirà morto.
Francesco fa il maestro, in quei giorni è in vacanza al mare. Lo accusano falsamente di aver tamponato qualche auto e invece di una multa lo portano in repartino.
Francesco ha su di se il marchio dell’anarchico pericoloso: nel 1972 venne ferito durante un aggressione fascista, che si concluse con la morte dello squadrista Falvella, ucciso con il suo stesso coltello dall’anarchico Giovanni Marini, che intervenne per aiutare Francesco.
Nel 1999 venne arrestato perché protestava per una multa. Calci, pugni e manganellate, poi un’accusa di resistenza e lesioni. Il carcere, una condanna a tre anni, poi cancellata in appello.
Francesco era nel mirino dei carabinieri. Lo sapeva e aveva paura. Prima della cattura per il TSO dice “se mi portano all’ospedale di Vallo non ne esco vivo”.
In ospedale viene sedato pesantemente e legato al letto: le mani in alto, i piedi in basso. Crocefisso.
Viene lasciato lì senza cibo, senza acqua, senza “cure”. Griderà di dolore, ma nessuno lo ascolterà: sanguina dalle profonde ferite ai polsi inflitte dai legacci. Man mano la voce di Franco si farà più flebile, nella sete di aria dell’agonia. Verrà liberato 92 ore dopo, quando era morto da quasi sei.
I suoi parenti non potranno vederlo né avere sue notizie. Solo la loro caparbietà a non credere alle bugie dei medici ha fatto sì che questo crimine non passasse sotto silenzio.
La morte di Francesco Mastrogiovanni è divenuta un caso nazionale perché in quel repartino c’erano le telecamere, che ne hanno registrato la terribile agonia. Non ci sono riprese invece a S. Argenio e in tanti altri ospedali, dove i meccanismi disciplinari della psichiatria torturano uomini e donne, le cui vite turbano l’ordine sociale.
All’ospedale Niguarda la denuncia di una dozzina di morti sospette in repartino è rimasta senza esito.
Lo scorso autunno a S. Ambrogio è morto un uomo di settant’anni durante la cattura per l’esecuzione del TSO: già legato e sedato gli è stata fatta un’ulteriore iniezione, che l’ha ucciso. Alla sorella è stato impedito di avvicinarsi.
Sono le punte di un iceberg che resta sommerso, nascosto dalla pretesa che il male di vivere sia una “malattia” e la prigione psichiatrica, con i suoi lacci chimici e di cotone, sia una cura.
La psichiatria non è una disciplina medica ma un meccanismo disciplinare che investe come un treno in corsa le vite di chi non “ci sta dentro”, di chi eccede la norma e da fastidio. Chi rifiuta la gabbia chimica, chi non accetta di gonfiarsi di psicofarmaci, chi vive in strada, chi è troppo povero per pagarsi una psicoterapia, rischia la gabbia del repartino, il TSO, i legacci a gambe e braccia, l’umiliazione del pannolone e del rimbambimento da psicofarmaci. Uomini e donne non sono liberi di scegliere la propria vita, liberi di decidere se assumere o meno dei farmaci.
Se rifiuti le cure dimostri di essere malato. Una follia. La normale follia psichiatrica.
Martedì 14 luglio
punto info antipsichiatrico
in largo Saluzzo dalle 21
Collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”
contatti: antipsichiatriatorino@inventati.org – 345 61 94 300