L’ultima zampata della Procura di Torino
L’ultima zampata della Procura di Torino contro i No Tav arriva dal Procuratore Generale Marcello Maddalena, che annuncia che il 15 ottobre, data d’inizio del processo d’appello per Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò, sarà in aula per sostenere le ragioni dell’accusa. Un’accusa pesantissima, attentato con finalità di terrorismo. Nonostante la sentenza di primo grado, pur condannando i quattro No Tav a tre anni e mezzo per utilizzo di armi da guerra e resistenza, abbia ritenuto incongrua l’accusa di terrorismo, la Procura di Torino non molla la presa. Il procuratore generale ha la competenza per i giudizi d’appello, ma è raro che scenda in campo direttamente. Si tratta quindi di una scelta pesante, che esprime la volontà chiara di sparare tutte le cartucce per ottenere una condanna per terrorismo, più volte negata dalla Cassazione e dal tribunale del riesame. Agli altri tre attivisti No Tav, Francesco, Graziano e Lucio, arrestati per la medesima azione di lotta, non è stata contestata l’accusa di terrorismo, dopo l’ennesima bocciatura del Riesame.
Maddalena è sull’orlo della pensione: con questo processo non si gioca la carriera, ma rischia, se sconfitto, di non chiudere in bellezza. Giancarlo Caselli, procuratore capo a Torino quando venne formulata l’accusa di terrorismo, non osò tanto. Anzi. Dopo gli attacchi ricevuti da illustri magistrati ed esponenti della cultura, dopo le decine di contestazioni ovunque in Italia, decise frettolosamente di ritirarsi, anticipando di alcuni mesi le proprie dimissioni. Armando Spataro, il suo successore, ha adottato una linea dura ma molto prudente, arrivando a sciogliere il pool No Tav.
Difficile pronosticare se la discesa in campo di Maddalena potrà modificare il giudizio della corte d’assise, ma potrebbe avere peso nella definizione della condanna.
La galleria nella montagna
Nonostante le indubbie difficoltà del momento, i No Tav, mantengono vivo il fronte di lotta. La repressione, il moltiplicarsi dei processi e delle condanne, penali e pecuniarie, sommato alla estrema difficoltà di dare realmente filo da torcere lavori al cantiere in Clarea, hanno certamente indebolito un movimento, che pure conta ancora su un’estesa opposizione all’opera.
E’ arrivata a fine agosto l’approvazione del CIPE per il tunnel dentro la montagna, il coniglio nel cappello del prestigiatore Mario Virano, l’uomo che, dopo aver indossato i panni ed incassato la retribuzione di capo dell’osservatorio tecnico per la Torino Lyon e di commissario straordinario del governo, ha ceduto a Foietta gli incarichi, per diventare il capo di TELT, la nuova società che ha il compito di realizzare la tratta internazionale della nuova linea ad alta velocità. Inutile dire che, stando alle regole che stabiliscono l’incompatibilità tra incarichi governativi e ruoli in società private che lavorano sulla medesima questione, sarebbe stato necessario un anno di intervallo.
Il tunnel dentro la montagna, ossia la galleria di 57 chilometri, cuore della Torino Lyon, sarebbe dovuto partire dalla frazione San Giuliano di Susa, con un cantiere enorme, che avrebbe richiesto un’infinità di lavori preliminari: primo tra tutti lo spostamento a Bruzolo dell’autoporto sulla A32.
Ma il governo aveva paura a costruire in bassa valle un altro cantiere. A Susa non ci sono i vantaggi del cantiere di Chiomonte, costruito all’uscita di una valle disabitata, collegato solo da una strada sterrata a Giaglione e da una via occupata militarmente dal giugno 2011 a Chiomonte. Qui il movimento avrebbe avuto maggiori chance.
Nonostante la propaganda governativa, amplificata dai media, ci racconti che il movimento No Tav è ormai alle corde, nei fatti la banda Renzi ha dimostrato di averne ancora paura. Altrimenti non avrebbe scelto di ampliare il cantiere/fortino di Chiomonte, facendo partire i lavori del tunnel di base nel cuore della montagna, nel punto di innesto con la galleria geognostica oggi in costruzione. Il nuovo progetto è più costoso e più rischioso. Ha un unico vantaggio: rendere più difficile la resistenza di un movimento che non ha mai accettato di ridursi a mero testimone dello scempio.
Ultimi bagliori d’estate
La decisione di scavare il tunnel dalla montagna impone una riflessione sulle strategie di lotta, ormai non più differibile. Durante l’estate la questione è stata affrontata non senza difficoltà. La scommessa di tanti di mantenere salda la natura popolare e, insieme, la scelta di lotta non simbolica, non sempre trova i canali giusti per esprimersi. Le scelte sul metodo hanno innescato un dibattito, che in alcuni momenti si è fatto molto acceso, perché pur non intaccando la sostanza, ossia la necessità di una lotta popolare ed incisiva, ha mostrato qualche difficoltà nel definire il ruolo delle minoranze agenti.
L’estate si è conclusa con numerose iniziative. Il 4, 5 e 6 settembre la tre giorni “seminiamo resistenza!” si è articolata nel consueto apericena di lotta ai cancelli della centrale il venerdì sera a Chiomonte e si è conclusa a Venaus con una giornata di informazione, mercatino genuino valsusino, ed esibizione del Coro Moro, un gruppo di rifugiati africani delle valli di Lanzo che eseguono i canti tipici della tradizione popolare piemontese.
Momento clou della tre giorni è stata la marcia popolare da Giaglione a Chiomonte, cui hanno partecipare molte famiglie con bambini. “Bombe di semi” sono state lanciate oltre le recinzioni del cantiere/fortino. Turi Vaccaro,un attivista molto noto in valle, è riuscito ad entrare nel cantiere, mettendo in difficoltà l’apparato poliziesco. La pressione ai cancelli ha indotto la polizia a liberare Turi, dopo averlo sollevato e trasportato, perché lui non era disposto ad allontanarsi spontaneamente.
La notte dello stesso giorno un gruppo di giovani No Tav ha attaccato il cantiere con sassi e petardoni: otto di loro sono stati arrestati e condotti in carcere. Mercoledì 9 settembre il gip li ha liberati tutti con obbligo di firma, di residenza e coprifuoco notturno. E’ andata peggio all’unico minorenne confinato ai domiciliari. In serata un corteo di un migliaio di No Tav ha dato vita ad una fiaccolata solidale per le strade di Bussoleno.
Due notti dopo un altro gruppo di “Black Bloc” ha nuovamente attaccato il cantiere, adottando le medesime modalità della settimana precedente: catene ai cancelli, petardoni e sassi. Nove di loro sono stati fermati dalla polizia, che sotto ai cappucci neri ha scoperto una banda di valligiani tra i sessanta e gli ottant’anni. I nove hanno rifiutato di farsi identificare e hanno rivendicato il loro gesto. Nonostante ciò sono stati rilasciati tutti. Il giorno successivo i media hanno cercato di ridurre l’attacco notturno a mera goliardata, per ridurne l’impatto, perché gli over 60 hanno dimostrato che l’azione diretta è patrimonio di tutti e da tutti viene approvata e praticata.
Sabato 12 settembre un centinaio di No Tav ha dato vita ad una marcia popolare al cantiere. La polizia ha bloccato gli accessi all’area sia dalla strada delle Gorge, sia dai principali sentieri. I No Tav hanno replicato facendo una barricata e lanciando petardoni. La polizia ha messo in atto la solita guerra chimica a base di gas CS. I No Tav con tutta calma sono ritornati a Giaglione.
La lotta continua…
(quest’articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale Umanità Nova)
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