Sabato 19 settembre. La cornice è piazza Carlo Alberto, salotto torinese in pieno centro. C’è il monumento al “re tentenna” circondato da fanti in armi tra la biblioteca nazionale e Palazzo Carignano, che tra settembre e ottobre ospita una mostra dedicata alla “Grande guerra a Torino”, ennesima celebrazione in chiave nazionalista del centenario della prima guerra mondiale.
In questa piazza si è dipanata una giornata antimilitarista promossa dalla Federazione Anarchica Torinese, con mostre, distro, musica ed un’assemblea con una buona partecipazione ed un serrato dibattito, in cui si sono intrecciati momenti analitici e proposte di lotta.
L’Italia è in guerra da molti anni. Ne parlano solo quando un ben pagato professionista ci lascia la pelle.
È una guerra su più fronti, che si coniuga nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma parla il lessico feroce dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione.
Gli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Lo rivela l’armamentario propagandistico che le sostiene. Le questioni sociali, coniugate sapientemente in termini di ordine pubblico, sono il perno dell’intera operazione.
Hanno applicato nel nostro paese teorie e tattiche sperimentate dalla Somalia all’Afganistan.
Se la guerra è filantropia planetaria, se condizione per il soccorso sono le bombe, l’occupazione militare, i rastrellamenti, se il militare si fa poliziotto ed insieme sono anche operatori umanitari il gioco è fatto, la distanza tra il militare e il poliziotto diviene impalpabile. Il fronte della guerra ai poveri assume dimensioni planetarie, mentre l’affermarsi di un quadro politico multipolare produce veloci cambi di quadro, che moltiplicano i teatri di guerra. La difficoltà di esercitare un pieno controllo in chiave neocoloniale, innesca conflitti il cui unico obiettivo è annientare quello che non si controlla. La Siria ne è l’emblema più recente, ma non l’unico.
La giornata antimilitarista del 19 settembre è il primo atto di una campagna contro l’“Aerospace & defence meeting”, mostra mercato internazionale dell’industria aerospaziale di guerra, che si terrà a Torino dal 17 al 19 novembre.
Per l’industria armiera italiana, in testa il colosso pubblico Finmeccanica, sarà un’occasione per valorizzare le eccellenze del made in Italy, con un focus sulle cinque aziende piemontesi, leader nel settore: Alenia Aermacchi, Thales Alenia Space, Avio Aero, Selex Es, Microtecnica Actuation Systems / UTC. 280 SMEs.
La mostra-mercato è riservata agli addetti ai lavori: industrie del settore, governi e organizzazioni internazionali, protagonisti di un business lucroso che trova il proprio compimento nell’industria di guerra.
Un settore che non conosce crisi, in cui si gioca il ricatto occupazionale, come arma da guerra contro chi si oppone alle produzioni di armi.
La necessità di avviare un percorso per la chiusura e riconversione delle industrie belliche è stata evidenziata in numerosi interventi: tra le
proposte la costituzione di una cassa di resistenza per i lavoratori disposti a lottare per non essere complici dei massacri, che quotidianamente insanguinano il pianeta.
Le immagini dei profughi che premono alle frontiere chiuse dell’Europa, il dibattito sull’accoglienza umanitaria, la retorica su chi muore in mare o in fondo a un tir nascondono una verità banale. Le guerre sono combattute con armi costruite a due passi dalle nostre case.
L’enfasi sull’accoglienza che ha caratterizzato l’ultimo scorcio di un’estate segnata da morti in mare e migrazioni di massa attraverso i muri della fortezza Europa, si scontra contro la decisione, l’unica unanime, di dare avvio alla fase 2 della missione Eunavfor Med, l’operazione antiscafisti promossa dall’UE. La flotta europea e i droni di cui è dotata passeranno all’azione. Inutile dire che l’obiettivo vero è impedire le partenze, mettendo sotto tutela militare le coste libiche. Forte il rischio di una nuova escalation militare per il controllo della Libia, dopo il fallimento del 2011.
In questo quadro si innestano il Trident Juncture 2015, la grande esercitazione NATO, la cui fase operativa sarà tra l’il 26 ottobre e il 6 novembre.
Tra lo Stretto di Gibilterra e il Mediterraneo centrale e i grandi poligoni di guerra di Spagna, Portogallo e Italia 38.000 militari, 200 velivoli e 50 unità navali di 33 nazioni per la più grande esercitazione NATO dalla fine della guerra fredda. Ospiti d’eccezione, i manager delle industrie militari di 15 Paesi.
Il principale trampolino di lancio sarà l’aeroporto trapanese di Birgi, ma non mancheranno esercitazioni dai poligoni sardi, dalla base di Camp Darby in Toscana, con fulcro logistico al comando Nato di Napoli.
Le prove generali dei conflitti dei
prossimi anni vengono fatte nelle basi sparse per l’Italia. Le stesse basi da cui in questi anni sono partite le missioni belliche dirette in Libia, Iraq, Afganistan, Serbia, Somalia, Libano…
Contro le manovre sta crescendo un movimento che darà vita ad iniziative: un campeggio antimilitarista in Sardegna, corteo a Trapani durante le manovre, manifestazione a Napoli a fine ottobre.
A Torino l’assemblea antimilitarista si è posta numerosi obiettivi, oltre all’appoggio alle lotte contro il Trident Juncture, l’impegno centrale sarà una campagna di informazione e lotta contro la mostra mercato di novembre all’Oval Lingotto.
Numerose le proposte emerse della campagna “Spezzare le ali al militarismo”: un presidio più corteo nella zona della mostra il 17 novembre, giorno dell’inaugurazione dell’Aerospace & defence meeting, iniziative per il 4 novembre, azioni diffuse contro le fabbriche di guerra, serate informative e proiezioni di film e documentari.
Il filo conduttore della giornata antimilitarista è la consapevolezza che la rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza concreta.
Negli ultimi anni l’opposizione alla guerra qualche volta è riuscita a saldarsi con l’opposizione al militarismo: il movimento No F35 a Novara, i No Tav che contrastano l’occupazione militare in Val Susa, i no Muos che si battono contro le antenne assassine a Niscemi, la lotta contro i poligoni in Sardegna, le iniziative contro le fabbriche d’armi e la propaganda degli eserciti a Torino. Anche nelle strade delle nostre città, dove controllo militare e repressione delle insorgenze sociali sono la ricetta universale per chi non accetta di vivere da schiavo.
Le radici di tutte le guerre sono nelle industrie che sorgono a pochi passi dalle nostre case.
Chiudere le produzioni di morte è un modo concreto per dire no a guerre e massacri, per gettare sabbia negli ingranaggi delle macchine di guerra.
Lo scorso anno la manifestazione contro l’Alenia a Caselle ha dato un primo, forte segnale.
L’Alenia è uno dei gioielli di Finmeccanica, il colosso armiero italiano.
La “missione” dell’Alenia è fare aerei. I velivoli militari sono il fiore all’occhiello di questo colosso. Nello stabilimento di Caselle Torinese hanno costruito gli Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri made in Europe, e gli AMX. Le ali degli F35, della statunitense Loockeed Martin, sono costruite ed assemblati dall’Alenia.
Un business milionario. Un business di morte.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.
(questo articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale Umanità Nova).
Prossimo appuntamento:
Lunedì 5 ottobre ore 21
assemblea antimilitarista
alla FAI in corso Palermo 46
Approfondimenti
Trindent juncture 2015, intervista ad Antonio Mazzeo e suo articolo