La pioggia battente non ha fermato gli antimilitaristi torinesi che hanno dato vita ad un corteo che ha attraversato le vie del centro cittadino, dipanandosi da piazza XVIII dicembre sino a via Garibaldi.
Lo striscione “Contro tutti eserciti per un mondo senza frontiere” apriva il corteo, cui hanno preso parte anche diversi esponenti della comunità curda torinese, che appoggia le esperienze di autogoverno in Rojava e in Bakur.
In via Cernaia, il monumento equestre a Lamarmora è stato coperto con un telo da pacciamatura. Le strade, le piazze e i giardini delle nostre città, Torino non è da meno, sono segnate da statue e monumenti dedicati ad assassini in divisa, a uomini che si sono distinti nell’uccidere, stuprare, torturare in nome dello Stato.
Coprire le vergogne del militarismo, è un modo per mostrare, nascondendole alla vista, le manifestazioni della pornografia bellica, della violenza legalizzata degli eserciti.
Il corteo ha fatto il giro di piazza Solferino, affacciandosi su via Bertolotti, dove ha sede la Prima circoscrizione, che il 25 aprile ha dedicato ai due marò assassini il giorno in cui si ricorda l’insurrezione di Torino contro il fascismo.
Più in là, chiuse da un cordone di polizia il monumento ai bersaglieri e la scuola di applicazioni militari, che notte del 31 maggio erano state decorate con scritte – assassini – vernice rossa e olio combusto.
La notte successiva la scritta “nessuna pace per chi fa guerra” era comparsa su monumento per la “pace” di corso Regina Margherita. In quel monumento la “pace” è rappresentata da un aereo militare italiano stilizzato.
Anche sui muri della principale fabbrica d’armi di Torino, l’Alenia, è comparsa la scritta “chiudere le fabbriche di morte”
Il corteo, mentre la pioggia si infittiva, ha guadagnato l’angolo con via San Francesco, dove una barca con dentro due manichini insanguinati, una rete ed una targa con la scritta “In memoria di Valentine Ajesh e Jelestine Binky, uccisi dalla barbarie dei marò, è stata lasciata all’incrocio.
In contemporanea un filo d’acciaio ha chiuso l’incrocio tra corso Vittorio e corso Bolzano, in solidarietà a migranti deportati e agli attivisti banditi da Ventimiglia.
Numerosi gli interventi sulla spesa di guerra, le fabbriche d’armi, l’osmosi tra guerra interna e guerra esterna.
La giornata è proseguita alla Taz antimilitarista al parco Michelotti, dove si è svolta un’assemblea, in cui si sono intrecciate le testimonianze delle lotte, con le analisi sulle strategie di guerra, controllo sociale e sperimentazione disciplinare degli ultimi anni.
Di seguito il testo del flier distribuito in queste settimane a Torino
Il 2 giugno il governo festeggia la Repubblica con parate militari ed esaltazione patriottica.
A Torino è stata lanciata una giornata di lotta contro gli eserciti e le frontiere.
L’Italia è in guerra. A pochi passi dalle nostre case si producono e si testano le armi impiegate nelle guerre di ogni dove.
Le usano le truppe italiane nelle missioni di “pace” all’estero, le vendono le industrie italiane ai paesi in guerra.
Queste armi hanno ucciso milioni di persone, distrutto città e villaggi, avvelenato irrimediabilmente interi territori.
L’Italia è in guerra. Truppe italiane sono in Afganistan, in Iraq, in Val Susa, nel Mediterraneo e nelle strade delle nostre periferie, dove i nemici sono i poveri, gli immigrati, i senza casa, chi si oppone ad un ordine sociale feroce.
L’Italia è in guerra. Ma il silenzio è assordante
La retorica sulla sicurezza alimenta l’identificazione del nemico con il povero, mira a spezzare la solidarietà tra gli oppressi, perché non si alleino contro chi li opprime.
La retorica della sicurezza alimenta l’immaginario della guerra di civiltà, della paura della Jihad globale, mentre il governo del nostro paese è alleato di chi finanzia chi semina il terrore.
Chi promuove guerre in nome dell’umanità, paga un macellaio perché i profughi vengano respinti e deportati.
Il silenzio è assordante, perché il pensiero sulla sicurezza – lo stesso a destra come a sinistra – sembra aver paralizzato l’opposizione alla guerra, al militarismo, alla solidarietà a chi fugge persecuzioni e bombe.
Nel silenzio dei più c’è chi decide di mettersi di traverso, di sabotare le antenne assassine di Niscemi, di battersi contro le fabbriche d’armi, di fermare le esercitazioni di guerra, di aprire ed abbattere le frontiere, di gridare forte il proprio il disgusto per la patria e il nazionalismo.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati per le strade.
Qui le immagini delle azioni dirette antimilitariste dei giorni precedenti
One Response
Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.
Continuing the Discussion