Nulla sarà più come prima: il referendum istituzionale ha visto un’ampia partecipazione popolare ed i “NO” hanno vinto. Aurore radiose attendono le legioni di votanti che, matita copiativa alla mano, hanno modificato radicalmente la situazione in Italia. Il blocco frigorenzaicomassonico è stato sconfitto. I superstiti renziani risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza. Tutto il potere è andato al CNEL che ha decretato la fine della povertà e della disoccupazione in Italia.
Si sa, i sogni muoiono all’alba. E all’alba del 6 dicembre sono arrivati i dati ISTAT sulla povertà in Italia. Il 28.7% delle famiglie italiane (17,5 milioni di persone) è povera o in condizioni di grave indigenza. Più della metà delle coppie con tre o più figli minori è povera. Lo è quasi la metà delle persone che vivono nel Sud Italia. In Europa siamo tra quelli messi peggio. Alcune zone del Sud Italia sono quelle che hanno, percentualmente, più poveri d’Europa.
Aumenta il numero dei working poor: quelli che sono poveri nonostante lavorino regolarmente con un contratto di lavoro. Ormai si tratta di quasi un lavoratore su 4 (23.5%).
Negli ultimi 5 anni è anche aumentata la differenza di reddito tra chi ha molto e chi ha poco. La differenza di reddito tra il 20% più povero (che possiede il 7.7% del reddito complessivo) e il 20% più ricco (che ha quasi il 40% del reddito complessivo) è aumentata ulteriormente. Se invece del reddito (che è quello che uno guadagna ogni anno), guardiamo al patrimonio (che è quello che uno possiede) la situazione è ancora peggiore: le 10 famiglie più ricche in Italia possiedono quanto il 40% dei residenti (italiani e stranieri) più poveri.
Qualche milione di poveri ha dovuto rinunciare alle cure ed alle spese sanitarie e la mortalità é aumentata del 9.1% (sono morte 54.000 persone in più rispetto all’anno precedente). Le aspettative di vita, in Italia, sono diminuite per la prima volta da 150 anni (da quando vengono misurate). Intanto però le persone che hanno più di 30 milioni di euro nelle proprie disponibilità finanziarie sono aumentate del 7.8%.
Ma che ci frega dei poveri e dei malati, abbiamo passato gli ultimi mesi a parlare del referendum e passeremo i prossimi a parlare della legge elettorale. Queste sono le cose che contano. Del resto chiunque sia stato al governo non ha fatto altro che peggiorare le condizioni di vita e lavoro, quindi è meglio cianciare di come votare piuttosto che di come cambiare veramente le cose.
Poi però, mentre erano tutti impegnati a celebrare la vittoria, ottenuta peraltro con una buona partecipazione popolare, nessuno si è accorto che parecchi poveri non sono andati a votare e se ne sono fregati di un referendum che non sposta di una virgola la loro condizione di sfruttati.
C’è una correlazione diretta tra il numero degli astenuti al referendum costituzionale ed il tasso di povertà: le regioni con più poveri sono quelle che hanno votato di meno. Nel Sud e nelle Isole, dove il 55% delle persone non riesce a sostenere una spesa imprevista di 800 euro (uno degli indicatori di disagio sociale), ha votato meno del 60% degli aventi diritto. Nelle regioni con meno poveri è avvenuto l’inverso: più gente è andata a votare.
Allo stesso modo è andata per il numero di disoccupati. La provincia italiana con più disoccupati (Crotone con il 31,4% della popolazione disoccupata) è quella che ha votato meno (47.8% di votanti). Vicenza, che è la città dove c’è stata la maggiore affluenza (78,5% di votanti) è la penultima per disoccupazione (4,7%). Tranne pochissime eccezioni, l’elenco delle province italiane ordinate per numero di disoccupati e ordinate per numero di astenuti sono sovrapponibili.
In queste ore, tanti stanno accreditandosi i voti referendari. Ci sono Renzi, Grillo e Salvini (ed uno stuolo di mosche cocchiere) che sostengono che i “SI” e i “NO”, siano adesioni al loro disegno politico (che consiste, al di fuori dei fronzoli, nell’ andare al potere e mangiare più dei loro predecessori).
Assistiamo anche a un tentativo di rivendicazione di taluni che hanno partecipato al teatrino elettorale con l’ossimoro del “NO sociale”: un voto può essere sociale quanto un’accelerazione può essere rallentata. La vacuità del loro disegno di trasformazione attraverso il referendum fa il paio con la totale inconsistenza del risultato una volta ottenuta questa inutile vittoria.
Non c’è niente da fare, gli anarchici sono diversi. Non credo ci sia uno di noi che sostenga che chi non è andato a votare sia necessariamente anarchico. Noi non siamo andati a votare con le nostre motivazioni, altri con le loro. E non necessariamente coincidono. Ci limitiamo a registrare che, nelle aree dove è maggiore il disagio sociale, è maggiore l’astensione da questa inutile sceneggiata.
A differenza di tutti quelli che si sono battuti per il “SI” o per il “NO”, affermando che votando in un modo o nell’altro sarebbe cambiato tutto, noi astensionisti abbiamo detto fin dall’inizio che, chiunque avesse vinto, non sarebbe cambiato nulla.
Incuranti della tempestiva smentita da parte dei fatti, delle roboanti promesse elettorali, gli attori del teatrino della politica stanno affrettandosi a rimettere in scena la pantomina della legge elettorale. Che si parli di come eleggere questo o quello, piuttosto che di disoccupazione, povertà, salario, abitazioni, istruzione, sanità. Tutte cose delle quali non hanno nessuna voglia di occuparsi, se non per peggiorarne le già catastrofiche condizioni.
La maggior parte delle persone è andata a votare al referendum illudendosi di cambiare qualcosa. Noi siamo stati gli unici a dire che non sarebbe cambiato nulla. I fatti ci hanno dato ragione. Aver dimostrato lungimiranza e coerenza non serve però a cambiare la situazione. E’ necessario sottrarsi a questo teatrino rilanciando la lotta (questa sì “sociale”) per migliorare le condizioni di vita e lavoro di tutti e tutte.
Per approfondimenti:
Ascolta la diretta a caldo di Massimo Varengo per l’info di Blackout
Ascolta la chiacchierata con Francesco nella puntata di Anarres del 9 dicembre