Ogni anno il due giugno lo Stato italiano festeggia se stesso con parate e cerimonie militari. Uomini e mezzi sfilano con meccanica precisione, la meccanica precisione delle guerre moderne, tutte lontane, tutte umanitarie, tutte combattute per qualche principio scritto in solenni dichiarazioni sui diritti universali. Ogni due giugno gli antimilitaristi si mettono di mezzo per contrastare la retorica nazionalista, la ferocia bellica messa in mostra tra lustrini e divise tirate a lucido.
A Torino l’appuntamento era in piazza Statuto di fronte al monumento ai costruttori del Frejus, dove, dopo un breve climbing, è stato appeso uno striscione con la scritta “profughi annegati = omicidi di Stato”. Nella fontana sottostante e nel prato i fantocci di bimbi, abiti, scarpe, qualche giocattolo.
Poi si parte alla volta di piazza Castello, dove si terrà la cerimonia militarista. La polizia blocca l’accesso a via Cernaia: gli antimilitaristi imboccano via Garibaldi. Prima di corso Palestro, mentre gli uomini della polizia tentennano, viene immediatamente improvvisato un check point che chiude la strada per qualche decina di minuti.
Musica, interventi e slogan raccontano a chi passa che i militari nelle strade, la caccia ai senza documenti, il daspo per i poveri sono la normalità nella nostra città.
La strada è gremita di gente, che ascolta e legge. Sul furgone ci sono due striscioni “Daspo urbano, fogli di via: il fascismo ha il volto della democrazia”, “No a tutti gli eserciti”. In testa gli antimilitaristi hanno aperto lo striscione “Contro tutti gli eserciti per un mondo senza frontiere”.
Armati di telecamera di cartone e microfono finto alcuni compagni intervistano i passanti sulla guerra, il militarismo, le parate militari. Grande successo di critica e di pubblico: qualcuno fa anche ciao.
Si gira in piazza Palazzo di Città, dove di fronte al Comune viene appeso uno striscione con la scritta “L’alternativa è Chiara: polizia, tribunali, sgomberi… guerra ai poveri”. Un messaggio per la giunta a 5 Stelle che sta cementificando e militarizzando la città.
Un aereo e un carro armato vengono donati ad Appendino che si è più volte vantata per l’eccellenza piemontese nell’industria aerospaziale di guerra.
Un nuovo check point chiude l’intera piazza, mentre poco più in là sta per cominciare la cerimonia militarista.
Il corteo prosegue per piazza Castello. La polizia in assetto antisommossa si schiera e blocca tutti i lati di piazza Corpus Domini. Il fronteggiamento dura a lungo. Gli antimilitaristi gridano “Fuoco, fuoco al tricolore!”, “Mio nonno disertore me l’ha insegnato l’uomo finisce dove comincia il soldato”, “Gli unici stranieri, gli sbirri nei quartieri”.
I poliziotti si calano il casco, imbracciano i manganelli. Seguono lunghi minuti di tensione. A lato i compagni di Novara si schierano di fronte alla polizia con lo striscione contro gli F35.
La cerimonia in piazza Castello si chiude in fretta e furia, il corteo approda in piazza Castello, gremita di gente.
Anche quest’anno la cerimonia militarista è stata disturbata dai senzapatria, che con un corteo comunicativo si sono guadagnati la piazza, obbligando i militari a celebrare di corsa i propri riti.
Dopo il corteo gli antimilitaristi hanno raggiunto la Taz al Parco Michelotti, dove un compagno sardo ha raccontato le lotte contro le basi e i poligoni nell’isola. Ne è seguito in vivace dibattito.
In autunno a Torino si svolgerà nuovamente il “Defence and aerospace meeting”, la mostra dell’industria bellica aerospaziale.
Gli antimilitaristi stanno preparando una degna accoglienza ai produttori e ai mercanti di morte.
Di seguito il volantino distribuito al corteo:
“Contro tutti gli eserciti
Per un mondo senza frontiere
L’Italia è in guerra. A pochi passi dalle nostre case si producono e si testano le armi impiegate nelle guerre di ogni dove.
Le usano le truppe italiane nelle missioni di “pace” all’estero, le vendono le industrie italiane ai paesi in guerra. Queste armi hanno ucciso milioni di persone, distrutto città e villaggi, avvelenato irrimediabilmente interi territori.
All’Alenia di Caselle Torinese oltre ad un nuovo lotto di cacciabombardieri Eurofighter, da quest’anno produrranno anche droni da combattimento.
La spesa di guerra è 68 milioni di euro al giorno. Pensateci quando aspettate sei mesi una visita specialistica. Pensateci quando aspettate da decine di minuti l’autobus.
L’Italia è in guerra. Truppe italiane sono in Afganistan, in Iraq, in Val Susa, nel Mediterraneo e nelle strade delle nostre periferie, dove i nemici sono i poveri, gli immigrati, i senza casa, chi si oppone ad un ordine sociale feroce.
Il ministro dell’Interno Minniti ha promosso una legge sulla sicurezza urbana che prevede il daspo, il divieto ai senza casa, senza lavoro, senza documenti di vivere in certi quartieri. Un nuovo capitolo della guerra ai poveri, che saranno puniti perché dormono su una panchina o occupano una casa.
Ogni giorno qualcuno muore nel Mediterraneo. Nei prossimi mesi ne moriranno di più: il governo ha deciso di mettere sotto controllo le navi dei volontari che assistono i migranti sui barconi. Presto guardia costiera e militari imporranno la loro presenza sulle imbarcazioni. A chi non ci sta verrà vietato di approdare in Italia.
L’Italia è in guerra. Ma il silenzio è assordante.
La retorica sulla sicurezza alimenta l’identificazione del nemico con il povero, mira a spezzare la solidarietà tra gli oppressi, perché non si alleino contro chi li opprime.
La retorica della sicurezza alimenta l’immaginario della guerra di civiltà, della paura della Jihad globale, mentre il governo italiano è alleato di paesi che finanziano chi semina il terrore.
Chi promuove guerre in nome dell’umanità paga il governo libico e quello turco, e presto anche quelli di Niger e Ciad, perché i profughi vengano respinti e deportati.
Il silenzio è assordante. Il pensiero sulla sicurezza – lo stesso a destra come a sinistra – sembra aver paralizzato l’opposizione alla guerra, al militarismo, alla solidarietà a chi fugge persecuzioni e bombe.
Nel silenzio dei più c’è chi decide di mettersi di traverso, di sabotare le antenne assassine di Niscemi, di battersi contro le fabbriche d’armi, di fermare le esercitazioni di guerra, di aprire ed abbattere le frontiere, di gridare forte il proprio disgusto per la patria e il nazionalismo.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, soldati per le strade.
assemblea antimilitarista”