Francesca Mannocchi, giornalista free lance, che collabora con numerose testate italiane e internazionali, è stata la prima a scrivere, già il 25 agosto, degli accordi tra governo italiano e milizie libiche per il blocco delle partenze. Il suo reportage, uscito in inglese su Middle East Eye, ha trovato conferma nei giorni successivi negli articoli pubblicati da Reuters e Associated Press.
“Una prima intuizione sull’esistenza di una diplomazia parallela l’ho avuta a fine agosto. Ero in Libia. Per la prima volta a Zawiya e a Sabratha sono arrivati convogli di aiuti umanitari. Mi sono chiesta perché fossero stati inviati in una zona dove non ce n’era particolare bisogno. Sono andata lì ed ho cominciato a fare domande, per capire cosa ci fosse dietro a quei pacchi arrivati a Sabratha”.
É noto a tutti che in quella zona una diplomazia parallela esiste da tempo ed è targata ENI.
“Io ho in mano un documento che dimostra che la milizia dei Dabbashi ha un accordo per la protezione del compound di Mellita”.
Questa volta c’era qualcosa in più in ballo.
La scomparsa delle partenze di migranti nell’ultimo mese e mezzo doveva avere una ragione. Il traffico di esseri umani è uno dei maggiori business libici: lo stop alle partenze doveva avere una solida base materiale.
In Italia si racconta la favola che i trafficanti sarebbero stati bloccati dalla cosiddetta “guardia costiera libica”, grazie all’addestramento offerto dal governo Gentiloni. Una “notizia” che ha il sapore della “barzelletta”.
“Chi incassa milioni di euro facendo partire centinaia di migliaia di persone, non si fa certo bloccare da qualche pattuglia in più in mare e tantomeno dalla diplomazia libica.
Mi sono perciò chiesta quale prezzo stessimo pagando per l’interruzione delle partenze.
Tutte le fonti che ho raccolto, fonti diverse e non in contatto le une con le altre, sia in Italia che in Libia mi hanno confermato trattative tra i servizi segreti italiani e le milizie. Non solo quelle di Sabratha, ma anche quelle della zona ovest di Tripoli, di Misurata e di Beni Walid.
Io non ho prove di quanto dico, ma le fonti che ho consultato sono tante, diverse tra loro e alcune mi hanno descritto i nostri servizi come molto generosi.
Come ai tempi dei trattati stretti tra Berlusconi e Gheddafi nel 2008, ce lo dirà il tempo, ce lo dirà la storia quali saranno le conseguenze di questi accordi verbali e informali.
Conosco a fondo la Libia e mi chiedo cosa accadrà quando finiranno i soldi, gli aiuti, l’invio di armi. Ritengo che l’Italia diventerà profondamente ricattabile.
Sto lavorando sui nomi delle milizie coinvolte, in primis quella Dabbashi, che non per caso ha scortato gli aiuti umanitari italiani dal porto di Tripoli a Sabratha. La stessa milizia ha chiesto l’apertura di un proprio ufficio nel compound di Mellita, non accontentandosi più dei soli proventi della protezione dell’impianto ENI, ma forse provando a prendere direttamente una stecca sulla produzione. Questa milizia, oltre ad essere una delle più forti per numero di uomini, gestisce da tempo i traffici di petrolio e gas.
Nonostante la Libia abbia un’importanza strategica per gli approvvigionamenti energetici italiani, si fa fatica a far emergere informazioni, mentre la propaganda continua a definire “centri di accoglienza” le prigioni libiche.”
I media main stream hanno ignorato le informazioni diffuse da varie testate in lingua inglese sugli accordi, affiancando la notizia della dipartita dal Mediterraneo delle navi delle ONG con quella della secca riduzione delle partenze e degli sbarchi. Contribuendo in tal modo a criminalizzare le ONG, gettando nel contempo polvere sugli accordi con le milizie.
Le stesse ONG, in buona parte dipendenti da finanziamenti statali, non hanno saputo/voluto battere i pugni sul tavolo. L’unica eccezione rilevante è “Medici senza frontiere”, che ormai da due anni rifiuta di prendere sovvenzioni statali, perché non vuole essere complice delle scelte politiche del governo sull’immigrazione. La decisione venne presa dopo la chiusura delle frontiere lungo la rotta balcanica.
“Oggi c’è il rischio che le ONG diventino complici delle politiche governative in Libia”.
La richiesta alle ONG di partecipare alla gestione delle prigioni per migranti in Libia è molto ambigua, perché in Libia nessuna organizzazione può agire senza l’accordo con le milizie. Qualche mese fa “Sette funzionari e delle Nazioni Unite e dodici uomini della scorta vennero derubati e sequestrati tra Zawiya e Sabratha dalle milizie della zona. Sono stati liberati dopo una lunga trattativa e non hanno mai raggiunto il centro di detenzione dove erano diretti. Mi fa soltanto sorridere l’idea che oggi le ONG e la stessa UNHCR possano lavorare nei centri.
In Libia, secondo fonti del ministero dell’interno ci sono 24 centri di detenzione ”ufficiali’. Io lavoro in Libia da anni ma sono riuscita a visitarne solo sei. Gli altri non si sa dove siano, quante persone ci siano dentro.
Io sospetto che verranno attrezzati due o tre centri a beneficio di giornalisti e associazioni umanitarie, mentre di tutti gli altri si continuerà a non sapere nulla. Alcuni centri che ho visitato sono stati chiusi, ma nessuno sa dove siano finiti i migranti che ci stavano dentro.
La domanda che faccio è semplice: ‘ci sono le condizioni perché UNU e ONG possano lavorare in Libia?’ Io credo di no. Nella sola Tripoli nel solo mese di giugno ci sono stati 281 rapimenti.
Finirà che le ONG e l’ONU apriranno uffici a Tripoli o a Misurata e non faranno uscire i propri funzionari dalle otto del mattino alle due del pomeriggio. Non credo che questo migliorerà la condizione dei migranti nei centri di detenzione in Libia.”