Il 29 e 30 novembre si è svolto all’Oval Lingotto di Torino “Aerospace & defence meeting”, mostra mercato internazionale dell’industria aerospaziale di guerra.
La settimana si è aperta il 28 novembre con un convegno dedicato alla trasformazione digitale e all’industria aerospaziale 4.0
Un’occasione per valorizzare le eccellenze del made in Italy nel settore armiero, in testa il colosso Leonardo, con un focus sulle aziende piemontesi, leader nel settore: Thales Alenia Space, Avio Aero, UTC Aerospace Systems.
In nottata intorno alla sala incontri di via Nino Bixio sono apparse lunghe file di frecce rosse e manifesti sulla recinzione è stato appeso uno striscione con la scritta “No all’industria bellica. No ai mercanti di morte”. Scritte anche sull’Alenia Thales Space di Torino.
La mostra-mercato, che si svolge da ormai quasi dieci anni con sede a Parigi e a Torino, era riservata agli addetti ai lavori: fabbriche del settore, governi e organizzazioni internazionali, compagnie di contractor. Quest’anno hanno partecipato 870 aziende e i rappresentanti di 26 governi. Si sono svolti 6.000 incontri diretti per stringere accordi di vendita.
Tra gli sponsor del meeting spiccano la Regione Piemonte, il Comune di Torino, la Camera di Commercio subalpina.
Le pagine locali ne hanno parlato sommessamente nelle pagine interne. L’articolo uscito su “La Stampa” sorvolava ipocritamente persino sul core business del mercato.
Il 29 novembre, primo giorno della mostra, l’assemblea antimilitarista torinese ha dato vita ad un presidio informativo nella centralissima via Po, con una micro mostra di armi, numerosi cartelli, striscioni e volantini e interventi sulla mostra, sulle missioni di guerra dell’Italia, sulla spesa di guerra, la militarizzazione delle nostre città.
L’industria bellica è un business che non va mai in crisi. L’Italia fa affari con chiunque.
A Torino e Caselle c’è l’Alenia, la cui “missione” è fare aerei militari tra cui spiccano gli Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri made in Europe. Le ali degli F35 sono costruite ed assemblate dall’Alenia a Cameri, paesino alle porte di Novara.
Giocattoli costosi che hanno un unico impiego: uccidere.
All’aerospace and defence meeting hanno venduto, oltre a F 35 e Eurofighter Thyphoon, anche droni nEUROn da guerra, satelliti spia, elicotteri Awhero, sistemi ISTAR per sorveglianza, riconoscimento ed acquisizione degli obiettivi, MC-27J Praetorian per i trasporti bellici, gli Hitfist, cannoni per tank e navi… e tanti alti gioielli dell’industria bellica italiana e internazionale.
Di seguito alcuni stralci del volantino distribuito in città:
“L’Italia è in guerra da decenni ma la chiama pace, per giustificare le città distrutte, i corpi dilaniati, i
bambini spauriti, i migranti che muoiono in viaggio. La chiamano pace ma è occupazione militare, bombardamenti, torture e repressione.
Per trarci in inganno trasformano la guerra in filantropia planetaria, le armi in mezzi di soccorso.
Gli stessi soldati delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa, sono nel Mediterraneo e sulle frontiere fatte di nulla, che imprigionano uomini, donne e bambini.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Le sostiene la stessa propaganda: le questioni sociali, coniugate in termini di ordine pubblico, sono il
perno su cui fa leva la narrazione militarista.
Gli uomini, donne, bambini che premono alle frontiere chiuse dell’Europa nascondono una verità cruda ma banale. Le guerre sono combattute con armi costruite a due passi dalle nostre case.
L’Europa ha pagato miliardi al governo turco, l’Italia foraggia i trafficanti libici perché blocchino le partenze, chiudendo uomini, donne e bambini in lager dove stupri, torture e morte sono il pane quotidiano. Gli esecutori sono a Tripoli o a Sabratha, i mandanti siedono in parlamento.
Lo Stato italiano investe ogni ora due milioni e mezzo di euro in spese militari.
Le prove generali dei conflitti di questi anni vengono fatte nelle basi militari sparse per l’Italia.
La rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza concreta.
Negli ultimi anni sono maturate esperienze che provano a saldare il rifiuto della guerra con l’opposizione al militarismo: il movimento No F35 a Novara, i no Muos che si battono contro le antenne assassine a Niscemi, gli antimilitaristi sardi che lottano contro poligoni ed esercitazioni. Anche nelle strade delle nostre città, dove controllo militare e repressione delle insorgenze sociali sono ricette universali, c’è chi si oppone
alla militarizzazione delle periferie, ai rastrellamenti, alle deportazioni.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.”
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