Si può chiudere in gabbia un cantiere, non un intera valle
Il governo vuole, costi quel che costi, imporre con la forza la realizzazione di una nuova linea ferroviaria inutile, costosissima, nociva per la salute e il territorio.
In ballo c’è molto più di un treno. In ballo c’è la necessità di piegare e disciplinare un movimento che lotta da 25 anni. Nel 2005 un’insurrezione popolare fermò un progetto ormai entrato nella fase esecutiva.
Il governo usò la forza, occupò militarmente il territorio, sgomberò con la violenza le barricate della Libera Repubblica di Venaus.
Fu obbligato a fare marcia indietro. Il governo capì che la valle era ormai divenuta ingovernabile, che la gente avrebbe moltiplicato blocchi e barricate. In quel dicembre nessuno era disposto a tornare indietro, tutti erano protagonisti. L’eco di quanto avveniva in valle attraversò la penisola, suscitando indignazione e simpatia. Le olimpiadi invernali erano ormai alle porte.
Nel 2011, dopo anni di melina, consapevole di aver riportato all’ovile solo qualche politico a caccia di poltrone, il governo decise di usare nuovamente la forza.
Non si fece prendere alla sprovvista: l’avanzata delle truppe di occupazione fu lentissima ma inesorabile, in un continuo crescendo di violenza e repressione.
La danza dei manganelli e dei lacrimogeni e il tintinnare di manette sono stati la cifra di questi ultimi sei anni.
La realizzazione di un’opera accessoria, un tunnel di sei chilometri e mezzo a Chiomonte, è costato processi, condanne, ossa rotte.
Oggi l’eco mediatica intorno al movimento No Tav si è spenta.
Non per caso.
Il momento è cruciale. A gennaio il parlamento italiano ha ratificato il trattato con la Francia sulla Torino Lyon, il CIPE ha approvato il progetto definitivo della tratta internazionale, sono partiti gli espropri e le procedure preliminari per l’inizio dei lavori per le opere accessorie in Bassa Valle, a Bussoleno, Susa, San Didero e Bruzolo.
La realizzazione della nuova linea ad alta velocità ferroviaria, che consegnerà la Val Susa al destino di corridoio logistico per le merci, è ormai giunto al momento dell’apertura dei cantieri.
Siamo prossimi al punto di non ritorno.
La vita degli abitanti cambierà per sempre. Camion carichi di smarino e polveri d’amianto percorreranno la valle a est come a ovest, mettendo a repentaglio la salute di tutti. Il dispositivo militare investirà poco a poco anche zone densamente abitate. La perdita di falde acquifere sarà inevitabile e irreversibile.
La lucida profezia fatta 25 anni fa dal movimento No Tav rischia di trasformarsi in dura realtà.
L’imposizione violenta dei nuovi cantieri non è l’unico pericolo. L’insidia maggiore è l’illusione della delega, la seduzione a 5Stelle che ha colpito tanta parte di un movimento, che pure è consapevole che la strada percorsa sinora è stata fatta appoggiandosi saldamente sulle due gambe di tutti.
La delega istituzionale rilegittima la macchina di chi si arroga il diritto di decidere per noi, di chi giocherà la sua partita ad un tavolo dove il banco vince sempre e prende tutto. Per prima la nostra libertà.
Liste civiche, referendum, giochi elettorali hanno inghiottito enormi energie, senza alcun risultato, se non quello di allontanare ancora di più le persone dall’impegno diretto, dall’azione sul territorio, dal confronto sulle strategie per mettere in difficoltà l’avversario. La partita che si gioca in Val Susa va ben oltre il treno. Se fosse stata solo una storia di treni sarebbe già finita da un pezzo. In ballo c’è la decisione di essere protagonisti delle scelte che riguardano la propria vita e il territorio dove si è scelto di vivere.
C’è chi chiama tutto questo democrazia. Noi non lo facciamo, perché sappiamo bene cosa sia la democrazia reale: un mero sistema di ricambio delle élite al potere, che costitutivamente tiene tutti lontani dai luoghi dove si decide.
Troppe volte la febbre elettorale ha attraversato la Val Susa assorbendo energie enormi, sottratte alla quotidianità della lotta.
Per fortuna qualche crepa comincia ad vedersi. É tempo di togliersi gli occhiali opachi dell’illusione istituzionale, per guardare in faccia la realtà cruda in cui siamo forzati a vivere.
La “sindaca No Tav” di Torino ha preso le distanze dai “pochi violenti” giustificando così le dure cariche contro gli spezzoni degli anarchici, dei centri sociali e dei No Tav al corteo del Primo Maggio.
Lo stesso giorno si era congratulata con il PM Rinaudo e con la polizia per gli arresti di sei anarchici attivi nelle lotte a Torino e in Valle. Rinaudo è il titolare di tante inchieste e processi contro i No Tav, gli antirazzisti, gli occupanti di case. Le parole della sindaca hanno lasciato il segno.
Poco più di un mese più tardi Appendino, usando la legge Minniti-Orlando sulla sicurezza urbana, ha fatto un’ordinanza che vieta la vendita di alcolici da asporto ai negozietti, dove compera chi non può permettersi i prezzi dei dehor della movida. É finita con le cariche della celere in mezzo alla gente che si rilassava in piazza Santa Giulia. Proibizionismo e manganello. Buoni e cattivi: chi vota e chi agisce. Uno schema che il movimento No Tav ha sempre respinto, perché troppe volte politici “amici” lo hanno usato per spingere alla rinuncia ad ogni resistenza attiva.
Tante volte la grande favola della democrazia si è sciolta come neve al sole. Ogni volta che libertà, solidarietà, uguaglianza vengono intese e praticate nella loro costitutiva, radicale alterità con un assetto sociale basato sul dominio, la diseguaglianza, lo sfruttamento, la competizione più feroce, la democrazia mostra il suo vero volto.
La democrazia reale ammette il dissenso, purché resti opinione ineffettuale, mero esercizio di eloquenza, semplice gioco di parola. Se il dissenso diviene attivo, se si fa azione diretta, se rischia di far saltare le regole di un gioco feroce, la democrazia si fa discorso del potere che nega legittimità ad ogni parola altra. Ad ogni ordine che spezzi quello attuale.
Il governo sta provando a logorarci. Fa conto sulla rassegnazione, sulla difficoltà a fermare cantieri difesi da esercito, polizia, carabinieri, blindati.
La ferita nella montagna di Chiomonte è aperta a fa male.
I sabotaggi, le marce notturne, i sassi e i fuochi d’artificio non hanno mai messo in difficoltà il dispositivo militare intorno al cantiere.
Il governo ha scelto con cura il terreno dove sfidare i No Tav. Un luogo disabitato, dove è stato facile prendere il controllo delle vie d’accesso e costruire un fortino chiuso e ben difeso. I militari e gli addetti delle ditte controllano le strade: ai No Tav restano solo i sentieri. Da qualche mese anche i sentieri sono difficili da raggiungere e percorrere. Continuare a “salutare” le truppe di occupazione con fuochi d’artificio ricambiati con lacrimogeni è un esercizio tanto pericoloso quanto inutile. Il governo ha imparato la lezione: al cantiere impiega truppe da montagna, gente abituata a stare nei boschi.
Un migliaio di persone sono state inquisite, processate e condannate, per aver partecipato attivamente ad un movimento che non ha mai voluto avere un mero ruolo testimoniale. Nei momenti cruciali i No Tav hanno saputo stringersi a chi veniva accusato di terrorismo per azioni di sabotaggio o di attacco al cantiere.
L’azione repressiva lungi dal dividere il movimento lo ha rinforzato nell’azione solidale, nell’appoggio ai carcerati, ai condannati. Ma ha scavato nel profondo. Non si sono scalfite le convinzioni, si è tuttavia allargata la distanza tra chi fa e chi applaude, ri-aprendo la strada a percorsi istituzionali e di delega.
La delega è un declivio che scende piano piano verso un precipizio, dove cade chi si trasforma in sostenitore di una lotta cui non partecipa più direttamente. É la differenza tra chi guarda una partita e chi scende in campo.
Le illusioni di carta costituzionale hanno fatto il resto.
Il movimento No Tav ha sulle spalle il peso della speranza che ha rappresentato per tanta gente di ogni dove.
Il rischio è l’usura dei sentimenti, anestesia del tempo che trascorre, il ripetersi dei passi già fatti, dei sentieri che conducono là dove la ferita si allarga. Ancora forte è tuttavia l’orgoglio di esserci, di tenere duro, di continuare a dare del filo da torcere ai nostri avversari.
Il grande tunnel di 60 chilometri nel massiccio dell’Ambin lo faranno scavando dentro la montagna, partendo dalla galleria di Chiomonte. Una scelta dettata dalla paura di aprire subito un grande cantiere a Susa. Il segno chiaro che, nonostante le dichiarazioni di vittoria, il governo continua a temere il movimento No Tav.
Il governo preferisce partire dal cuore della montagna, aumentando i costi, i tempi e i rischi pur di rendere difficile l’azione diretta.
C’è chi lo sa da tanto tempo, c’è chi lo ha imparato poco a poco. C’è chi invece non sa riconoscere la realtà.
Il governo ha scelto il suo terreno di gioco. Lì non vinceremo mai.
È importante che la memoria non vacilli: i No Tav hanno sostenuto ed appoggiato la pratica dell’azione diretta contro il cantiere e le ditte collaborazioniste, i blocchi delle strade e delle ferrovie, lo sciopero generale, le grandi marce e i sabotaggi.
Fermare il Tav è la ragion d’essere del movimento. Ma la strada per arrivarci è importante quanto la meta. In questa storia non ci sono scorciatoie. In ballo c’è molto di più di un treno: la libertà e la dignità di chi non tollera l’imposizione con la forza di una scelta non condivisa.
Il 2005 nessuno lo pianificò ma accadde. I primi a stupirci fummo noi. Le barricate, i tronchi in mezzo alla strada, il blocco delle strade furono la risposta all’occupazione militare. La gente smise di delegare e divenne protagonista della propria storia. Tutti insieme, per le strade e i sentieri. Con il grido degli indiani di valle si scese insieme nella neve, finché l’inverno dei poliziotti e dei manganelli su costretto ad andarsene. Loro erano i più forti, ma sapevano che il seme della rivolta che cresceva all’ombra del Rocciamelone rischiava di attecchire in ogni dove. E per un po’ quell’aria di libertà si diffuse per la penisola.
La partita non si giocò e non si vinse nel pratone sotto i piloni dell’autostrada che incombe su Venaus. Lì l’8 dicembre 2005 andò in scena solo l’ultimo atto. La partita la vinse la gente che poche ore dopo lo sgombero a Venaus bloccò strade, autostrade, ferrovie, paesi. Era il culmine di una storia cominciata molti anni prima. Una storia che si è nutrita del sapere condiviso che tanta gente ha saputo far proprio, impastandolo con l’acqua viva delle proprie aspirazioni ad un mondo di liber* ed eguali. Un mondo dove non sia normale che le merci contino più delle persone. Viviamo un tempo dove solo chi consuma è cittadino, mentre gli altri sono poco meno che scarti da seppellire. Magari in fondo al mare. 30.000 morti nel canale di Sicilia, uccisi dai governi di centro destra e da quelli di centro sinistra, mentre il movimento 5stelle annuncia che saprà fare di peggio, moltiplicando blocchi e frontiere.
Il movimento No Tav deve guardarsi allo specchio. Chi si illude che un governo a 5Stelle cancellerà il Tav, chi si appresta a fare campagna elettorale per Grillo e la premiata ditta Casaleggio e associati, riuscirà a dormire sonni tranquilli sapendo che questo governo intende fare politiche sociali apprezzate da fascisti e leghisti?
Nel 2005 la Valle divenne ingovernabile.
La Valle deve tornare ad essere ingovernabile.
Dobbiamo scegliere noi i tempi e i luoghi, perché il movimento popolare torni ad essere protagonista, perché il governo sia obbligato a fare marcia indietro. Si può chiudere in gabbia un cantiere, non un intera valle. I nuovi lavori ci offriranno occasioni nuove per mettere in difficoltà i nostri avversari, dipende solo da noi coglierle.
Siamo ad un punto di non ritorno. D’ora in poi ogni passo sarà importante. Tavoli ed urne servono a seppellire il movimento.
Lunghi anni di azione diretta, confronto orizzontale, costruzione di percorsi decisionali condivisi sono stati una straordinaria palestra di libertà. Tutti noi portiamo nei nostri cuori, nella memoria viva del nostro movimento Venaus e la Maddalena. Libere Repubbliche, vere comuni libertarie, dove la gerarchia si è spezzata facendo vivere un tempo altro.
Il futuro non si delega: oggi come allora solo l’azione diretta, senza passi indietro, può creare le condizioni per fermare ancora una volta la corsa folle, di chi antepone il profitto alla vita e alla libertà di tutti.
Camminiamo sotto un cielo senza stelle, ma conosciamo la strada.
Federazione Anarchica Torinese